“Ridere fa bene al cuore”, in una frase è questo il risultato di uno studio decennale.
CRONACA – Uno studio appena pubblicato sulla rivista di cardiologia European Heart Journal, ha cercato di individuare una relazione tra le emozioni positive e i disturbi coronarici, con il risultato che le persone che normalmente sono felici, entusiaste e contente sono meno soggette a sviluppare malattie cardiovascolari rispetto a quelle infelici.
Lo staff guidato dalla dottoressa Darina Davidson, professore all’Herbert Irving in Medicina e Psichiatria, nonché direttore del Center for Behavioral Cardiovascular Health della Columbia University di New York, ha monitorato per oltre dieci anni 1739 adulti (862 uomini e 877 donne). Sono stati valutati i rischi dei partecipanti nell’insorgenza di malattie cardiovascolari, misurando sia i sintomi della depressione, ostilità e ansia che il grado di espressione delle emozioni piacevoli, come gioia, felicità, eccitazione, entusiasmo e soddisfazione, definendo questi ultimi come “effetto positivo”.
Tenendo conto dell’età, del sesso, e dei comuni fattori di rischio cardiovascolare, i ricercatori hanno valutato che, data una scala di valori da zero a cinque che misurava il grado di felicità, ogni punto in più corrisponde a una riduzione del rischio cardiovascolare del ventidue percento.
Secondo gli autori della pubblicazione questo è il primo studio rigoroso che ha esaminato la relazione tra effetti positivi dell’umore e le malattie cardiache, e nonostante si tratti di uno studio di tipo osservazionale, i risultati suggeriscono che stimolare emozioni gratificanti nelle persone sia utile per prevenire l’insorgenza di complicazioni al cuore. Tuttavia sono gli stessi ricercatori a raccomandare cautela, perché non si sono fatti ancora trial clinici specifici; se però i test supporteranno i risultati dello studio, allora sarà relativamente facile valutare gli effetti positivi nei pazienti e suggerire interventi atti a migliorare la prevenzione delle malattie cardiache.
I ricercatori ora stanno cercando di capire in che modo le emozioni possano influire a lungo termine sui fattori di rischio. Al momento ci sono diverse teorie, come, per esempio, che la regolazione del sistema nervoso parasimpatico e i barocettori possano essere superiori nelle persone che generalmente presentano alti valori di “positività”, o che queste persone possano recuperare più velocemente gli effetti dello stress, che sembra causare danni fisiologici.
Sono però teorie da dimostrare: l’editoriale che accompagna la pubblicazione, firmato da Bertram Pitt, professore di Medicina interna, e da Patricia Deldin, professore associato di Psicologia e Psichiatria (entrambi dell’ University of Michigan School of Medicine), sottolinea come, per ora, nessuno sappia con certezza se gli effetti positivi abbiano un ruolo diretto o indiretto sulle malattie cardiovascolari. Però un effetto c’è. Nello stesso editoriale si legge infatti che sono in corso controlli casuali per verificare il grado dell’effetto positivo nei pazienti con malattie cardiovascolari, che aiuteranno a capire meglio tale relazione.