COSTUME E SOCIETÀ – Tempi duri per i “magnagati”. Italia e Cina varano leggi per la tutela degli animali domestici.
Chissà cosa penserebbe il nostro premier se sapesse che proprio mentre il governo italiano inasprisce le sanzioni per chi sfrutta cani e gatti per farne pellicce e portafogli, anche il Congresso Nazionale del Popolo Cinese sta pensando di presentare al governo una legge che vieti il consumo di carne di cane e gatto. Comunione di intenti, serendipità o coincidenza cosmica?
Di sicuro c’è che in Italia esulta la Lega Anti Vivisezione, la quale ricorda come tutto sia cominciato nel 2001 quando un loro rapporto puntava il dito contro “l’industria illegale della pelliccia”, un “mercato semi-clandestino che, grazie a diciture fuorvianti riportate sulle etichette di capi di abbigliamento commercializzati in Europa e in Italia, causava la sofferenza e la morte di almeno 2 milioni di cani e gatti all’anno”. Il Decreto Legislativo approvato il 1° marzo arriva a integrazione dell’art. 2 della Legge 189 del 2004 e dice che chi è coinvolto in queste attività è punibile con l’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da 5.000 a 100.000 euro. Insomma si punisce chi causa la sofferenza di cani e gatti, gli animali da compagnia per eccellenza nel nostro paese, e sulle loro pellicce – è il caso di dirlo – costruisce truffe ai danni dei compratori meno accorti.
Proprio la classe media, quella che ci possiamo immaginare composta da signore che si stanno domandando se quella bordatura del cappotto regalatole dal marito non assomigli un po’ troppo alla pelliccia di Fufi, o se quel paio di scarpe in puro vitello scamosciato comperate in saldo non vengano in realtà da Fido, è al centro anche della vicenda cinese. Nella Cina di oggi animali da compagnia come cani e gatti sono il simbolo di un certo benessere, di una situazione economica che permette di non badare esclusivamente all’essenziale. Ecco allora che in questa classe borghese emergente si fanno largo anche pensieri animalisti e nascono i primi movimenti per i diritti degli animali. Ma eliminare dalle tavole cinesi cane e gatto, oltre che far assottigliare i menù di molti ristoranti che propongono la cucina tradizionale, potrebbe avere anche ricadute economiche negative. Come riporta ABC News, infatti, mettere al bando la carne di cane e gatto significherebbe gettare in miseria interi distretti del paese, come quello di Leping, tradizionalmente legato alla lavorazione della carne di cane. Qualcuno potrebbe gridare alla più classica vendetta dei soliti comunisti facinorosi, che riescono a trovare il pelo nell’uovo, ma la realtà è che il consumo di carne di cane e gatto in Cina è figlio della penuria di cibo e oggi che tale penuria sembra scongiurata, almeno per i nuovi strati benestanti, la democrazia del “tutto, purché plachi la fame” sembra essere arrivata al capolinea, mettendo in crisi anche la credenza popolare che mangiare carne di cane migliori la circolazione del sangue.
E in Italia? Le leggende sull’argomento non mancano. Per esempio, è noto che i vicentini sono indicati dai propri corregionali come magnagati, con un epiteto di sicuro figlio degli scontri campanilistici che caratterizzano tutte le comunità (i trevigiani, sempre in tema squisitamente gastronomico, vengono definiti “polentoni”). Al di là dello spirito goliardico della definizione, pare che in quelle terre la fama sia dovuta a una pestilenza o a un assedio che costrinse i cittadini a sfamarsi con ogni tipo di animale. Nonostante di appellativo di origine quasi leggendaria si tratti, è meglio non dirlo a voce troppo alta. Sicuramente non è il caso di parlare di dicerie e tradizioni orali attorno ai piatti a base di gatto, altrimenti si potrebbe incorrere nella stessa sorte di Beppe Bigazzi, il noto ospite del programma “La prova del cuoco”. Il racconto di un proverbio della sua terra natale, il Valdarno, sull’argomento è stato interpretato da molti come un incitamento a sbattere in padella i gatti, così è stato sospeso tra l’indignazione popolare. Presto, ahi lui, potrebbe non trovare solidarietà nemmeno tra i cinesi della vicina Prato.