Il 20 marzo un corteo organizzato dal Forum dei movimenti per l’acqua sfilerà a Roma contro la privatizzazione dei servizi idrici. Al via la raccolta firme per un referendum con cui porre fine ai profitti su un bene di tutti
POLITICA – Monta dal basso la protesta contro la legge che a novembre ha consegnato i servizi idrici del paese alle aziende private e alle multinazionali. “Se con l’approvazione dell’art. 23 bis, integrato all’art. 15 del decreto Ronchi, il governo Berlusconi ha pensato di chiudere la partita, si è sbagliato di grosso. I giochi sono ancora aperti”, promette Marco Bersani, del Forum nazionale dei movimenti per l’acqua e tra i promotori della manifestazione nazionale a Roma, sabato 20 marzo.
“Scendiamo in piazza per ribadire il No alla privatizzazione e alla mercificazione dell’acqua e riaffermare che l’acqua è un bene comune e un diritto umano universale”. All’iniziativa hanno aderito associazioni ambientaliste, associazioni di consumatori, comitati locali, il mondo cattolico, movimenti sociali e sindacali, forze politiche. “Non ci aspettavamo neanche noi un sostegno così vasto. Questa grande manifestazione apartitica sarà l’occasione per far sentire la voce di un movimento di resistenza vero, diffuso e radicato nel territorio che in questi anni ha contrastato i processi di privatizzazione dell’acqua portati avanti dalle politiche governative. Processi che hanno subito un’ulteriore, pesante accelerazione con l’attuale governo. Nella totale noncuranza verso la nostra proposta di legge d’iniziativa popolare che abbiamo consegnato al Parlamento nel 2007 corredata da oltre 400 mila firme e che da allora giace nei cassetti delle commissioni parlamentari”, polemizza Bersani.
Oltre alla manifestazione, la protesta prosegue con una campagna di raccolta firme per la promozione di un triplice referendum. “Tre Sì per abrogare l’ultima legge sulla privatizzazione dei servizi idrici del governo Berlusconi, il decreto che stabilisce che la gestione dei servizi idrici spetti alle SpA e la tassa del 7% che paghiamo in bolletta per compensare il capitale investito dai privati nel settore. In particolare – prosegue il promotore del referendum – il terzo quesito avrebbe come immediata conseguenza la riduzione delle tariffe e una valenza simbolica enorme, perché l’acqua non è un bene su cui far profitti”.
Di fronte a queste posizioni di principio, chi è favorevole alla privatizzazione dell’acqua obietta che una maggiore partecipazione delle aziende nel settore è la risposta a sprechi e inefficienze del colabrodo degli acquedotti italiani. “Non è una battaglia ideologica, ci sono almeno tre motivi per opporsi alla privatizzazione”, replica Bersani. “Primo, gli investimenti. Tra il 1986 e il 1995, quando il sistema idrico era completamente pubblico, gli investimenti statali superavano i due miliardi di euro l’anno. Tra il 1996 e il 2005, con l’ingresso delle SpA, sono crollati a 700 milioni di euro l’anno, un terzo rispetto al decennio precedente. In secondo luogo, l’occupazione. Il personale si è dimezzato, con un inevitabile peggioramento del servizio. Terzo: la sostenibilità. Se l’acqua è un business, tutte le politiche di riduzione dei consumi sono destinate a fallire, perché maggiori sono i consumi più alti saranno i guadagni. Siamo convinti che l’unica soluzione sia migliorare il sistema pubblico secondo un modello di democrazia partecipata”.