Ricerca pura e pratica clinica insieme, per studiare le lesioni spinali. Appena presentati i risultati triennali del progetto Spinal.
Quando avviene una lesione alla spina dorsale purtroppo le conseguenze sono disastrose: invalidità, paralisi, paraplegia. Tuttavia la parte più seria del danno, la sua progressione e amplificazione, non avviene al momento dell’impatto, bensì nelle ore successive, proprio quando il soggetto è mantenuto sotto osservazione. È su questa fase che si sono concentrati gli sforzi del gruppo di ricerca “Spinal”, che coinvolge gli scienziati della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (Sissa) di Trieste, e i medici dell’Istituto di medicina fisica e riabilitazione di Udine e dell’Azienda per i Servizi Sanitari ASS4 MedioFriuli.
L’obiettivo del progetto, i cui risultati dei primi tre anni sono stati appena pubblicati sulla rivista European Journal of Neuroscience, è quello di sviluppare nuovi trattamenti farmacologici e neuroriabilitativi per persone con lesioni al midollo spinale. Ma com’è possibile procedere con la ricerca sperimentale in soggetti che hanno subìto un danno così grave? I ricercatori sono riusciti a riprodurre in vitro l’ambiente cellulare del midollo dopo una lesione medio toracica, ricreando così condizioni molto simili a quelle che si verificano in seguito a un trauma midollare nell’uomo, a causa, per esempio di un incidente automoblistico. In questo modo in laboratorio possono studiare con calma ciò che succede nei primissimi istanti successivi al trauma, per comprendere meglio non solo l’entità del danno neurologico, ma anche la funzionalità dei circuiti spinali che governano la locomozione, e che sono compromessi. “È la cosa che mi affascina di più: studiare come si riorganizzino i circuiti locomotori dopo una lesione spinale”, commenta Giuliano Taccola, neurobiologo della Sissa, uno degli autori della pubblicazione. “Il nostro lavoro non andrà a beneficio solo di chi subirà un danno spinale in futuro, ma potrebbe aiutare già oggi chi vive con una lesione cronica”, continua. In Italia si stima che l’incidenza di lesioni midollari è di venti-venticinque nuovi casi per milione di abitanti all’anno, per un totale di circa sessanta-settantamila pazienti. La popolazione colpita è particolarmente giovane: l’ottanta percento ha un’età compresa tra i dieci e i quarant’anni.
Quello che tecnicamente si chiama danno secondario, cioè l’espansione e il propagarsi delle conseguenze del trauma, potrebbe rappresentare il momento adatto per cercare di arginare la perdita cellulare e quindi il conseguente deficit motorio. Finora, tuttavia, questa strategia non ha portato a risultati significativi, poiché non si conosce la dinamica esatta degli eventi, che cosa, in pratica, succede tra i fattori biologici e neurologici coinvolti.
La moderna riabilitazione si basa sull’intensa e ripetuta stimolazione sensoriale elettrica dei muscoli degli arti inferiori, o allenando al cammino il soggetto posto in sospensione di carico su di un tapis roulant; una riabilitazione che però non risulta essere sempre vantaggiosa e adatta a tutti i casi clinici. Non si è poi ancora in grado di rigenerare il midollo lesionato, e per questo i ricercatori auspicano di trovare un modo per sfruttare la plasticità delle reti neuronali e, attraverso un mix di farmaci, stimolazione elettrica e riabilitazione motoria, favorire un recupero parziale. La chiave sta proprio nel riuscire a intervenire con una terapia multifattoriale, ma i fenomeni degenerativi innescati sono così esplosivi che è difficile capire bene i meccanismi del danno. Per questo il modello in vitro sviluppato dai ricercatori è particolarmente utile, anche per la comprensione di altri eventi neurodegenerativi del sistema nervoso centrale. “Speriamo di utilizzare il nostro modello per verificare, anche nell’ambito delle lesioni spinali, l’efficacia di osservazioni riportate per altre patologie, come il morbo di Parkinson, l’Alzheimer, la sclerosi multipla, e la Sla”, precisa Taccola.