Non serve. Lo dice uno studio molto ampio, secondo il quale mancano le prove scientifiche che i giochi di “brain training” migliorino realmente le prestazioni intellettive. Lo psicologo Paolo Legrenzi: “Una perdita di tempo. Meglio tenere il cervello allenato attraverso la lettura e la conoscenza”
ARTE, MUSICA & SPETTACOLI – A furia di giocare ci si dovrebbe svegliare, se non proprio geni, perlomeno più intelligenti. Magari. Secondo un’ampia ricerca pubblicata sulla rivista Nature, non c’è alcuna prova che i test di allenamento per la mente ringiovaniscano il cervello, come invece ci fanno credere. I giochi di “brain training” non migliorano la memoria, la concentrazione e neppure le abilità di ragionamento. Possono essere un passatempo divertente, questo sì, come il Sudoku o le parole crociate. Basta che non ci si illuda che siano una terapia rinvigorente per neuroni addormentati.
Lo studio che ha affossato la “ginnastica” per la mente ha preso in esame più di 11 mila giocatori, dai 18 ai 60 anni, seguiti nell’arco di sei settimane. I partecipanti (spettatori di un format scientifico della BBC, che ha finanziato il progetto) sono stati divisi in tre gruppi. Un gruppo ha giocato ai videogame di allenamento cerebrale per almeno 10 minuti al giorno, tre volte a settimana. Un altro gruppo è stato sottoposto a una serie di esercizi cerebrali. Il terzo, infine, ha impiegato lo stesso tempo per navigare su Internet e rispondere a domande di cultura generale. Pensate che i ricercatori abbiano notato qualche differenza nelle prestazioni intellettive tra i vari gruppi? La risposta è no. “I giochi di brain training non fanno alcun danno, ma gli utenti potrebbero fare altro per stimolare il cervello come imparare una lingua o un nuovo sport”, è il consiglio di Adrian Owen che ha diretto la ricerca.
L’unica capacità che viene effettivamente sviluppata dai giochi di “brain training” è l’abilità a risolvere il gioco stesso nel quale ci si è cimentati. Come dire, più ci si esercita a risolvere un quiz, più si diventa bravi e veloci a rispondere. “Ma la triste verità è che questa abilità non si trasferisce in altri campi. Non serve a niente, o quasi, quando ci misuriamo con un altro compito logico, anche se richiede un ragionamento simile – spiega Paolo Legrenzi, professore di psicologia cognitiva dell’Università di Venezia. La sensazione di esser più perspicaci, insomma, è un’illusione.
Un esempio? “Più si gioca a poker, più si diventa scaltri con il mazzo di carte. Ma se si gioca a briscola, il talento sviluppato con l’esercizio del poker risulta praticamente inutile. Allo stesso modo, un sommelier può esser bravissimo a riconoscere l’odore dei vini a naso e non avere alcuna dote nel riconoscere profumi femminili differenti”, prosegue Legrenzi. “Negli ultimi trent’anni una mole di ricerche ha dimostrato che le operazioni intellettive sono strettamente legate al contenuto. Queste scoperte hanno messo in discussione la scuola di pensiero di Piaget e mostrato che la mente è modulare, funziona per moduli separati. C’è un motivo evoluzionistico in questo: è il metodo più vantaggioso dal punto di vista degli automatismi. Una volta che abbiamo imparato a far qualcosa, questa diventa automatica e può esser svolta senza attivare processi coscienti. Il prezzo da pagare è che l’apprendimento si trasferisce in minima parte da un compito logico all’altro. Al contrario, questo fenomeno funziona efficacemente nelle abilità motorie: saper nuotare, giocare a tennis o sciare aiuta il coordinamento e la riuscita anche in altri sport. Non vale, però, nel caso della ginnastica per la mente”.
I prodotti di brain training, quindi, ci spacciano qualcosa che a ben vedere è priva di fondamento scientifico. Eppure, videogame, libri, programmi di allenamento e quant’altro riscuotono un successo enorme e continuano ad alimentare iniziative commerciali ed editoriali (persino un quotidiano autorevole come Il Corriere della Sera ha promosso recentemente la collana Brain Trainer per “sfruttare al massimo le capacità del cervello” e “migliorare le abilità linguistiche, logico-matematiche, mnemoniche e visivo-spaziali”). “Il messaggio è scientificamente ingannevole, ma funziona perché fa leva sul grande sogno di diventare più intelligenti con poche e semplici mosse”, commenta Legrenzi.
Questo non significa che il cervello non sia un organo da mantenere attivo. “Tutt’altro! È importantissimo tenerlo allenato, come qualunque altro ‘muscolo’ del corpo”, raccomanda lo psicologo. “Se non viene esercitato, si atrofizza. Ma gli strumenti per stimolare le capacità cognitive sono altri: leggere, coltivare interessi, non smettere di acquisire nuove conoscenze, a qualunque età”.