A causa delle cattive condizioni di conservazione, i reperti preistorici del museo di storia naturale di Verona si stanno deteriorando irreparabilmente. Una petizione internazionale di ricercatori chiede al ministro Bondi di intervenire per salvare il salvabile.
CRONACA – Quello che l’usura del tempo non ha distrutto in decine di migliaia di anni, è riuscito a distruggerlo l’incuria di poche decine di mesi. Il tesoro preistorico del museo di storia naturale di Verona, che vanta una rara collezione di ossa e utensili appartenuti ad alcuni degli ultimi neanderthaliani d’Europa, versa in stato di abbandono. Parte dei reperti preistorici, per cause poco chiare, probabilmente imputabili alle pessime condizioni di conservazione, si sta tingendo di blu. Un sottile, strano strato bluastro si va spargendo sopra i resti fossili della collezione stivata in un ex deposito militare.
Come spiega un articolo sulla rivista Nature, qui vennero portati tra il 2007 e il 2008, dopo che la giunta comunale aveva deciso di vendere il castello del diciottesimo secolo adibito a deposito del museo di storia naturale. Il comune aveva promesso che i soldi ricavati dalla vendita sarebbero stati reinvestiti per trovare una giusta sede a questi reperti, ma non si sa esattamente come siano stati utilizzati i fondi.
Fatto sta che da ormai quattro anni, frammenti cranici, denti, ossa e oggetti di pietra degli ultimi neanderthaliani sul suolo italiano, sono stati lasciati marcire e ora stanno subendo danni irreversibili. I ricercatori hanno fatto appello al ministro Sandro Bondi, con una petizione firmata da scienziati di tutto il mondo. Chiedono che intervenga tempestivamente per salvare il salvabile.
Dalle prime analisi condotte sulla patina blu da Gilberto Artioli, un geo-archeologo dell’Università di Padova, è emerso che i reperti siano impregnati di idrocarburi, forse tracce del petrolio o altri lubrificanti per le armi una volta utilizzati nell’arsenale militare. “Ma questo non spiega il colore blu presente sui reperti”, ha spiegato il ricercatore a Nature. Il sospetto è che vi sia un altro contaminante nell’aria che reagendo con gli idrocarburi darebbe questa tinta. È una patata bollente a livello politico, oltre che una grave perdita per il valore scientifico e storico dei materiali. Se infatti si scoprisse che le pareti o il pavimento dell’edificio presentano una qualche sostanza inquinante, vorrebbe dire che i materiali paleontologici sono stati trasferiti senza un’adeguata pulizia. La responsabilità del degrado dei beni culturali ricadrebbe sulla giunta municipale, e sarebbero grane.
Secondo Artioli, circa il 30% di oltre mille di reperti sarebbe danneggiato. “Il colore può esser pulito, ma i paleontologici non riusciranno più a tirar fuori qualcosa di significativo dal punto di vista chimico da quei reperti”. Il colore, poi, è solo l’aspetto più plateale. Ossa e altri resti fossili sono porosi: al loro interno potrebbero finire altri elementi inquinanti invisibili a occhio nudo. Questo significa che i danni potrebbero essere peggiori rispetto a quanto si vede superficialmente. “Le temperature estive stanno accelerando le reazioni chimiche, il problema è urgente”, conclude Artioli.