Uno studio italiano individua per la prima volta le basi neuronali della recriminazione verso sé stessi.
CRONACA – Anche il più cinico degli individui lo ha provato almeno una volta, prima di imparare come metterlo a tacere e infischiarsene. È il senso di colpa, quel turbamento che ci attanaglia ogni qual volta siamo chiamati, implicitamente o esplicitamente, ad operare scelte che possono incidere negativamente sulla vita altrui o che screditano le regole morali comuni. Succede in famiglia, nei rapporti di coppia, in ufficio e fuori casa, e per i motivi più disparati. Ci si può recriminare di non ricambiare un sentimento d’amore, di aver deluso le altrui aspettative, di aver approfittato di un favore. C’è chi non si perdona di aver commesso un reato e chi si sente in colpa semplicemente per essere felice. Questo sentimento, cruciale nella psicanalisi e dirimente nel nostro agire quotidiano, è stato a lungo trascurato sotto il profilo scientifico. Ora uno studio italiano, condotto a Roma dall’IRCCS Fondazione Santa Lucia in collaborazione con l’Associazione di Psicoterapia Cognitiva, ha fatto luce sulle basi neurali del senso di colpevolezza.
A differenza delle emozioni elementari, come rabbia, tristezza, gioia e paura, da tempo associate all’attivazione di specifiche regioni cerebrali, le emozioni più complesse, come le emozioni sociali, tipiche soprattutto del genere umano, sono state finora scarsamente indagate. I ricercatori del Laboratorio di Neuroimmagini della Fondazione Santa Lucia, guidati da Marco Bozzali, hanno monitorato con la risonanza magnetica funzionale un gruppo di soggetti sani sottoposti a una serie di stimoli visivi in grado di evocare il senso di colpa.
Quello che hanno scoperto è che il senso di colpa nasce in due specifiche aree del cervello, distinte a seconda che il rimorso sia di tipo “deontologico” o di tipo “altruistico”, ovvero nel primo caso legato alla trasgressione di norme morali, senza un danno oggettivo per altri individui, mentre nel secondo caso evocato da situazioni in cui qualcuno subisce un danno ingiusto, anche se indipendentemente dalla nostra responsabilità.
In entrambi i casi nel cervello si attivano selettivamente due aree cerebrali: la corteccia del cingolo anteriore e la corteccia del cingolo posteriore. Si tratta di regioni cerebrali notoriamente coinvolte in funzioni superiori di tipo cognitivo. In particolare, è emerso in maniera più specifica che il senso di colpa deontologico attiva l’insula, struttura fondamentale nell’esperienza di disgusto verso stimoli esterni ed interni. Mentre il senso di colpa altruistico coinvolge prevalentemente la corteccia prefrontale mediale: un’area implicata in attività mentali di tipo pro-sociale, ossia legate all’interpretazione di stati d’animo e comportamenti altrui. Lo studio ha così dimostrato che il senso di colpa coinvolge circuiti cerebrali cognitivi ben distinti, anche se probabilmente soggetti ad una certa variabilità individuale.
I risultati, già disponibili on line, saranno pubblicati sulla rivista internazionale Human Brain Mapping. La ricerca apre la strada a una migliore comprensione di alcune attitudini individuali. Inoltre, potrebbe aiutare a spiegare alcuni comportamenti sociali devianti e manifestazioni psicopatologiche legate a malattie neurologiche e psichiatriche, alla cui base ci potrebbe essere un’alterata elaborazione delle emozioni complesse come, appunto, il senso di colpa. “Modificazioni del senso morale sono frequenti in conseguenza di alcune lesioni cerebrali e di traumi cranici anche non gravi – afferma il prof. Carlo Caltagirone, coautore dello studio e Direttore Scientifico della Fondazione Santa Lucia – quindi la comprensione delle basi neurobiologiche del senso di colpa ci permette di migliorare gli interventi riabilitativi, cognitivi e comportamentali che rivolgiamo ai pazienti”.