SALUTE – Due buone notizie in pochi giorni: dal Nobel al papà della fecondazione in vitro all’ordinanza del Tribunale di Firenze che bolla di illegittimità costituzionale il divieto alla fecondazione eterologa posto dalla legge 40
E’ stata proprio una bella settimana. Si è aperta con il Nobel per la medicina a Robert Edwards, il papà del “test tube baby” (il bambino in provetta), come viene simpaticamente definito sul sito della Fondazione Nobel. Merito per il premio: lo sviluppo delle tecniche di fertilizzazione in vitro. In altre parole, le tecniche di fecondazione assistita (ma in Italia, con quel pizzico di pruderie che non ci facciamo mai mancare, parliamo di procreazione assistita) che costituiscono terapia dell’infertilità. E lasciatemelo dire: sia benedetto Mr. Edwards per aver aperto la strada della maternità e della paternità a donne e uomini per i quali quella strada era sbarrata. Era dal 1999 che non veniva assegnato un Nobel per la medicina o fisiologia a un’unica persona (quell’anno era toccato a Gunter Blobel, per i suoi studi sulla localizzazione cellulare delle proteine). Ed è il primo Nobel tutto dedicato al tema della riproduzione .
Dicevamo però della bella settimana. Già, perché dopo la notizia del Nobel ne è arrivata un’altra davvero buona, questa volta da casa nostra: la prima sezione del Tribunale civile di Firenze ha rimandato ancora una volta alla Corte Costituzionale la legge 40 del 2004 sulla fecondazione assistita, sollevando un dubbio di incostituzionalità a proposito dell’articolo 4. E’ l’articolo che vieta il ricorso alla fecondazione eterologa, cioè a gameti – cellule uovo o spermatozoi – provenienti da un donatore esterno alla coppia che segue il percorso di fecondazione assistita.
Tutto è partito da una coppia che per provare ad avere figli ha proprio bisogno di un donatore esterno (l’uomo è affetto da mancanza di spermatozoi, a causa di una terapia seguita durante l’infanzia). In Italia non si può fare, e dunque la coppia si rivolge all’estero. Però non è facile, né dal punto di vista economico, né dal punto di vista psicologico: non sottovalutiamo il peso di dover fare armi e bagagli, trasferirsi periodicamente in un’altra città, dover discutere della propria salute anche in un’altra lingua, in un momento in cui si è già abbastanza provati dalla diagnosi di infertilità e magari da qualche tentativo di fecondazione assistita già andato a vuoto.
Insomma, la coppia si sottopone ad alcuni cicli di fecondazione assistita all’estero, ma senza successo. Così quando, lo scorso aprile, una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dà ragione a due coppie austriache che chiedevano di poter effettuare fecondazione eterologa nel loro paese, nonostante anche l’Austria lo vietasse, prende la palla al balzo. Fa richiesta di un percorso di fecondazione assistita con donazione eterologa a un centro di Firenze, se la vede rifiutata, e dunque decide di ricorrere al Tribunale di Firenze, con l’aiuto dell’associazione Luca Coscioni. Il Tribunale, infine, si pronuncia rimandando la questione alla Corte Costituzionale, dopo aver delineato per il divieto di fecondazione eterologa posto dalla legge un profilo di illegittimità, irragionevolezza e discriminazione di chi soffre di sterilità assoluta rispetto a chi soffre di forme curabili di infertilità nell’accesso alle tecniche riproduttive. La palla passa dunque alla Corte Costituzionale, ma visto il precedente della Corte Europea, è ragionevole pensare che anche la Consulta seguirà la stessa linea.
Come del resto ha già fatto nel 2009, dichiarando incostituzionale un altro articolo della legge 40, l’articolo 14 sull’obbligo di impianto contemporaneo degli embrioni prodotti. Con la sentenza quell’obbligo cade, e oggi è possibile produrre il numero di embrioni ritenuto necessario alla singola situazione, e congelare quelli prodotti in sovrannumero. E grazie ad altri ricorsi legali, è oggi possibile anche sottoporre gli embrioni prodotti a diagnosi pre-impianto, per evidenziare la presenza di eventuali patologie genetiche in coppie portatrici. Si può così evitare l’assurdo paradosso a cui costringeva la legge: sottoporsi all’impianto di un embrione che poteva rivelarsi malato, per poi affrontare, dopo un’amniocentesi o una villocentesi che abbiano effettivamente rivelato la presenza di malattia, la scelta straziante di un’interruzione volontaria di gravidanza.
Insomma, per le coppie italiane affette da infertilità questa settimana potrebbe segnare l’inizio di un percorso un pochino più facile di fecondazione assistita. Del resto il percorso è già piuttosto complicato di suo, dal punto di vista medico e psicologico, senza bisogno di ulteriori complicazioni legali.
Le buone notizie, però, si pagano. Così insieme a loro è arrivato anche il solito carico di critiche e polemiche, spesso davvero feroci nei confronti di chi, ricordiamolo ancora una volta, sta comunque vivendo una situazione di profondo disagio. A proposito del pronunciamento del Tribunale di Firenze, per esempio, il sottosegretario alla salute Eugenia Roccella ha dichiarato di temere un ritorno al Far west della riproduzione. Un Far west in cui non si tutelerebbe il (presunto) diritto del nascituro a conoscere i propri genitori naturali e in cui il consenso all’eterologa darebbe la stura a un commercio di ovociti, messi in vendita per necessità economica da donne povere, anche a rischio della propria salute. In realtà, già la motivazione dell’ordinanza di Firenze risponde implicitamente a questo tipo di accuse. Ricordando che se è vero che esiste il rischio di sfruttamento delle donne, il divieto alla fecondazione eterologa non è comunque l’unico mezzo disponibile per evitarlo. E che ci sono già casi ampiamente accettati in cui alcuni individui non conoscono i propri genitori naturali (che facciamo? Vietiamo anche l’adozione?). E, infine, che il diritto del bambino a conoscere le sue origini biologiche non è comunque un diritto assoluto, ma va integrato con altri diritti: quello alla procreazione, per esempio, e quello del donatore all’anonimato.
Anche Edwards e il suo bel Nobel non sono stati risparmiati da critiche, provenienti soprattutto dal Vaticano e dalle gerarchie cattoliche. C’è anche chi ha trovato decisamente ridicolo e inelegante che il massimo riconoscimento in ambito medico sia stato assegnato a qualcuno che si sarebbe limitato a perfezionare procedimenti giù utilizzati nei conigli. Già: come se questo processo di perfezionamento fosse stata cosa semplice. Come se non ci avesse permesso non solo di arrivare alle tecniche di fecondazione in vitro, ma anche di sapere meglio come funziona la fisiologia della riproduzione degli esseri umani. E in ogni caso… prima vennero i conigli. E allora? Dite che i genitori di quei 4 milioni di bambini nati nel mondo grazie al lavoro di Edwards siano particolarmente turbati dal fatto che, prima di loro, la tecnica abbia reso genitori anche dei conigli?
Spiace dirlo, ma ‘impressione alla fine, è sempre la stessa: che si stia tutti lì con gli occhi puntati sul tecnico o il ricercatore che armeggia con le cellule in laboratorio, e si dimentica chi c’è dietro. Le cellule sono importanti, per carità. Ma lo sono anche quegli uomini e quelle donne che la natura ha posto di fronte a un limite che per alcuni è davvero crudele. Uomini e donne che a un certo punto sono stati obbligati a confrontarsi con quel limite, a convivere con un senso di fallimento totale, con un senso totale di vuoto perché hanno un enorme desiderio di un figlio di crescere e con cui crescere e non hanno la possibilità di farlo. O almeno, non ce l’avevano prima di Edwards. Ora, grazie a lui, hanno almeno la speranza di poterci provare. A meno che una legge non metta un qualche bastone tra le loro ruote.
E a proposito, un’ultima cosa. Abbiamo detto che andare all’estero a tentare la fecondazione assistita non è facile. Di certo però non è facile neppure farsi carico di un ricorso legale. Chi lo fa lo fa dunque per sé, ma anche come battaglia di civiltà per tutti noi. Grazie davvero a questo persone.