COSTUME – Il commento di Bernard Cova, esperto di sociologia dei consumi, sulla sibillina campagna per la prevenzione del tumore al seno lanciata nelle scorse settimane su Facebook.
“Mi piace sulla sedia in cucina”, “mi piace sul tavolo all’ingresso”, “mi piace sul pavimento in camera”. Chiunque abbia un profilo su Facebook si sarà probabilmente imbattuto, nelle ultime settimane, in una dichiarazione simile (o, se donna, ne avrà magari postata una lei stessa). E ora che ottobre è agli sgoccioli possiamo svelare l’arcano: non si è trattato di un outing di massa sul luogo preferito in cui fare sesso, ma di un gioco da social network organizzato da alcune fondazioni americane per la campagna annuale Breast Cancer Awareness Month, che celebra ogni ottobre il mese della prevenzione del tumore al seno .
Il gioco era davvero semplice: le donne dovevano scrivere sul proprio profilo di Facebook il luogo in cui amano posare la borsetta al rientro a casa, sottintendo però l’espressione “posare la borsa” per dare origine a un’allusione sessuale neanche troppo velata. L’idea è che questo accumularsi di dichiarazioni sibilline avrebbe suscitato curiosità e, al momento della spiegazione, avrebbe indotto a riflettere sul tema – la prevenzione del tumore al seno – e possibilmente a richiedere una visita di controllo (se si è donne) o a sollecitare compagne, mogli, amiche, amanti, madri, sorelle a farlo.
Il gioco ha avuto un discreto successo, soprattutto negli Stati Uniti, da dove è partito, ma non sono mancate le voci in disaccordo. C’è chi si è sentita irritata da tutti questi sottintesi un po’ adolescenziali, e chi non era del tutto convinta della reale utilità di questo tipo di iniziative come strumento di prevenzione. Una appassionata testimonianza lasciata su Facebook da un’ex malata di cancro ha duramente contestato la frivolezza del gioco e il suo riferimento sessuale, in considerazione del fatto che la sessualità è proprio uno dei primi aspetti a essere messo in discussione in caso di malattia.
Ma che cosa ne pensano gli esperti? Abbiamo girato la domanda a Bernard Cova, docente di sociologia dei consumi all’EuroMed di Marsiglia e visiting professor all’Università Bocconi di Milano. “Sui social network si fanno cose divertenti, si gioca, non si vogliono veder circolare messaggi fastidiosi. Per questo, se si intende davvero utilizzare un social network come veicolo per una campagna di prevenzione, la scelta ludica è sicuramente la migliore”, è il suo primo commento. Come controesempio, Cova ricorda il fallimento, in Francia, di alcune campagne sulla sicurezza stradale lanciate su Facebook con un pesante corredo di immagini forti e negative.
“La vera domanda, quindi, non è se abbia senso puntare sul gioco in una campagna di questo tipo, ma se abbia senso puntare su Facebook per diffondere il concetto di prevenzione”, precisa l’esperto. Una domanda alla quale per ora non ci sono risposte. “Non ci sono studi che dicano quanto sia stata efficace una campagna di prevenzione condotta su social network”.
Di certo, sappiamo che Facebook & Co. funzionano molto bene quando si tratta di condividere passioni o interesse per qualche prodotto. E cominciano a funzionare bene, per quanto riguarda l’ambito sanitario, per la condivisione di informazioni tra gruppi di pazienti. Del resto, era quello che si faceva prima con i forum, con il vantaggio di disporre di uno strumento più organizzato. Quanto però servano davvero a far riflettere su un tema così serio e importante come la prevenzione del cancro è ancora tutto da scoprire: “Forse tra qualche mese ne sapremo di più: bisognerebbe cominciare a verificare se ci sarà un’impennata di richieste di esami di controllo nelle prossime settimane”. Insomma, siamo di fronte a un mondo del tutto nuovo: non resta che stare a vedere.