POLITICA – Nel 2004 nascevano le prime riviste della Public Library of Science in accesso aperto, gratuite per chi le legge e a pagamento per chi ci scrive. L’obiezione era che rischiavano di pubblicare ricerche scadenti “per fare cassa”.
Oggi la qualità non pare aver sofferto e l’indipendenza dalla pubblicità consente per esempio al mensile Neglected Tropical Diseases di esistere, anche se ha tuttora bisogno di essere sovvenzionato della fondazione americana Betty e Gordon Moore. Da fuori, il vantaggio di Neglected Tropical Diseases è ovvio: anche nei paesi più poveri, gli addetti alla sanità possono scaricare da internet gli articoli di cui hanno bisogno. Ma per i ricercatori il vantaggio qual è?
Ne hanno discusso nella settimana organizzata dalla rivista Chronicle of Higher Education. Per inaugurarla, un gruppo coordinato dal cognitivista Stevan Harnard aveva calcolato che le pubblicazioni in open access sono più citate di quelle di pari qualità uscite su riviste a pagamento. L’oncologo Martin Fenner è critico, ritiene che sia probabile ma ancora da dimostrare e conclude:
Oltre al tasso di citazioni ci sono molte altre ragioni che rendono l’open access valido, come l’accesso alla letteratura per chi non lavora in istituzioni accademiche (e forse non citano mai un paper) e per usarla in modi nuovi ed entusiasmanti. Per me personalmente, il vantaggio è più in questi due aspetti.
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E’ d’accordo anche Stevan Harnad, poliglotta come si vede nei commenti al suo post sul sito della settimana, dove un francese protesta contro l’egemonia dell’inglese. Fuori tema, gli risponde Harnard ed è vero, ma senza l’inglese niente accesso né aperto né a pagamento.
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La foto è ripresa dalla copertina di Neglected Tropical Diseases di settembre e illustra una ricerca sulla diffusione del verme solitario.