COSTUME E SOCIETÀ

Guardatevi dal collega con la barba!

È uno studio pubblicato su Applied Microbiology nel 1967 a vincere l’IgNober Prize 2010 per la sezione salute pubblica. Si tratta di una ricerca che definirebbe pericolosi gli uomini con la barba all’interno dei laboratori di microbiologia a causa del loro potenziale di infettare gli altri.

COSTUME – Sono andati a scavare un bel po’ indietro nel tempo i giudici dell’IgNobel Prize per dare il premio ad uno studio pubblicato su Applied Microbiology.  Era il 6 marzo 1967.

La ricerca di Manuel Barbeito, Charles Mathews e Larry Taylor (dell’Industrial Health and Safety Office, Maryland) vincitrice dell’IgNobel Prize 2010 nella sezione della salute pubblica ha voluto indagare i segreti della barba dei tecnici di laboratorio per vedere le “schifezze” che vi si celano.

I tre si erano impegnati a valutare la loro ipotesi secondo la quale un uomo barbuto avrebbe più probabilità di infettare la sua famiglia o i suoi amici e colleghi nel caso che la sua barba venga contaminata da microrganismi presenti in un laboratorio di microbiologia. Un’ipotesi questa che prendeva spunto da fatti realmente accaduti; in particolare alcuni casi di febbre Q riportati da operatori di lavanderie pubbliche e dalla moglie di un veterinario che era solita maneggiare e lavare gli abiti usati dal marito nell’ambulatorio.

Così sono stati testati uomini che lavoravano in laboratorio, con o senza barba, contaminati con Serratia marcesens (un patogeno umano responsabile di infezioni ospedaliere, specialmente alle vie urinarie) e Bacillus subtilis var. niger (un batterio presente nel suolo), come se ci fosse stato un piccolo incidente di laboratorio.

Spruzzate le barbe e i visi rasati con i microrganismi, gli sperimentatori hanno osservato ciò che accadeva dopo un intervallo di 30 minuti ed uno di 6 ore. L’intervallo di 30 minuti voleva rappresentare due possibili situazioni di lavoro: il tempo che un uomo potrebbe impiegare per concludere l’esperimento in corso e incontrare un collega o quello invece di farsi una doccia prima di chiacchierare con qualcuno. Il tempo delle 6 ore, invece, è quello previsto per concludere il lavoro e andare a casa dalla famiglia con una barba contaminata.

Ogni variabile è stata tenuta sotto controllo: temperatura e umidità, tipo di sapone utilizzato per lavarsi e addirittura il metodo. Ciò che i ricercatori hanno scoperto a questo riguardo è che se il barbuto si lava insaponando la barba e poi la sciacqua riempiendosi le mani d’acqua rimuove molti meno mocrorganismi rispetto ad uno che si lava lasciando scorrere l’acqua della doccia. Nell’esperimento due uomini barbuti dovevano ripulirsi la barba e due no. Contemporaneamente cinque uomini appena sbarbati hanno sperimentato la permanenza dei microrganismi sulla pelle del viso. Insomma, il risultato è che ogni uomo con la barba dovrebbe lavarsi il viso molto attentamente prima di lasciare il laboratorio perché nella barba, scrivono i ricercatori, i batteri si attaccano più tenacemente. Questa conclusione è avvalorata dall’osservazione che lavarsi la faccia consente di rimuovere un maggior numero di batteri dalla pelle, che si pulisce più facilmente, che dalla barba.

“Dopo molti anni di assenza delle barbe dai laboratori – precisano gli autori nel paper – oggi gli uomini che lavorano maneggiando microrganismi patogeni le portano di nuovo. La contaminazione della barba può avvenire da una fuoriuscita evidente di una coltura o da un aerosol impercettibile. Precedenti studi hanno dimostrato che sia comuni tecniche microbiologiche che piccoli imprevisti possono generare un aerosol sufficiente ad infettare un uomo. È stato chiarito poi che differenze nella predisposizione possono permettere infezioni da contatto anche se chi porta la barba non viene infettato. Siccome la sorgente dell’infezione è sconosciuta in una percentuale variabile tra 39 e 86% dei casi, la nostra opinione è che le barbe sono sconsigliabili perché possono costituire un rischio ai vicini”.

 

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Sara Stulle
Libera professionista dal 2000, sono scrittrice, copywriter, esperta di scrittura per i social media, content manager e giornalista. Seriamente. Progettista grafica, meno seriamente, e progettista di allestimenti per esposizioni, solo se un po' sopra le righe. Scrivo sempre. Scrivo di tutto. Amo la scrittura di mente aperta. Pratico il refuso come stile di vita (ma solo nel tempo libero). Oggi, insieme a mio marito, gestisco Sblab, il nostro strambo studio di comunicazione, progettazione architettonica e visual design. Vivo felicemente con Beppe, otto gatti, due cani, quattro tartarughe, due conigli e la gallina Moira.