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L’imperatore in mostra

ARTE, MUSICA & SPETTACOLI – Se vi capita di passare per Dearborn, nel Michigan, non dimenticatevi di fare una visita al Museo di Storia Naturale dell’Università. Perché potreste vedere uno dei fossili più straordinari esposti in qualsiasi museo del mondo.

Quello di un basilosauro (sauro imperatore), un animale acquatico vissuto fino a 37 milioni di anni fa, e che ora occupa l’intero soffitto della galleria al secondo piano del museo. Il fossile sarà il simbolo della mostra Back to the Sea: The Evolution of Whales che sarà inaugurata in Aprile. Lungo 16 metri è completo in ogni sua parte: a far certamente impressione è il cranio e l’apertura boccale con denti lunghi 10 centimetri.

File:Basilosaurus.jpg

È un fossile spettacolare – afferma Amy Harris,  direttore del museo – perchè può davvero dirci molto sulla storia evolutiva di questi animali che hanno scelto l’acqua e quindi, a differenza nostra, sono tornati nell’elemento da dove tutti siamo venuti. Da dove la vita ha preso inizio.

Il fossile è stato scoperto nel 1987 dal gruppo di ricerca di Philip Gingerich, direttore del museo di Paleontologia della U-M, l’Università del Michigan. Dalla sabbia del deserto Wadi Hitan, in Egitto,  è emerso prima un dente poi la parte inferiore della mascella ma la stagione di ricerca era giunta al termine, il tempo era inclemente e così i ricercatori lo hanno ricoperto e nascosto di nuovo sotto la sabbia. Due anni dopo sono venuti alla luce il cranio e l’intera mandibola che sono stati esposti nel 1997.

Il sito del ritrovamento del Basilosauro

La regione desertica del ritrovamento è nota come Valle delle Balene e l’UNESCO l’ha recentemente classificata come World Heritage Site per via dei numerosi fossili presenti nell’area. Ma Gingerich e i suoi colleghi, nel frattempo impegnati in Pakistan, sono potuti ritornare in Egitto solo nel 2005 e hanno cercato di riannodare il filo del lavoro iniziato vent’anni prima. L’obiettivo era di ritrovare il resto del corpo del Basilosauro.

Una volta ritrovate le altre ossa (il luogo era stato mappato con estrema precisione), ottenuto i permessi per portarle negli Stati Uniti c’è voluto più di un anno di lavoro per ripulire e stabilizzare tutti i reperti. Non poca roba, circa 4 tonnellate di materiale, e poi c’e stato tutto il lavoro di modellizzazione e di creazione di repliche dello scheletro per lo studio, le esibizioni museali e lo scambio con altre istituzioni. Altri due anni di duro lavoro.

È stata l’esperienza più intrigante della mia vita – le prime parole di Philip Gingerich al giornalista del National Geographic che lo ha intervistato – Avere questo fossile nel nostro museo mi rende felice. Perché è stato un progetto incredibile, infinito e che ha coinvolto molte persone, molte nazioni e tanti saperi diversi.

Non resta che andare a vederlo.

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