CRONACA

Il paradiso perduto

NOTIZIE – Non si parla spesso delle paludi della Mesopotamia, un’immane catastrofe prima di tutto umanitaria ma anche ambientale. Un servizio recente della BBC che è andata sul campo a vedere in quali stati versi quest’importantissimo ecosistema umido (fino al secolo scorso considerato il più importante sistema di paludi dell’Eurasia e uno dei più importanti al mondo) ci offre l’occasione di raccontare la storia di questa zona unica. Quest’area, la cui origine si perde nella leggenda, e che secondo alcuni starebbe alla base dei miti sul giardino dell’Eden, è stata letteralmente prosciugata per volere dell’allora presidente dell’Iraq, Saddam Hussein, e il motivo di questa decisione così drastica non è stato economico, bensì politico. Hussein ha così voluto punire e perseguitare gli arabi Sciiti, come controffensiva alle rivolte del 1991.

In realtà, le prime bonifiche sono partite nel 1950, allo scopo di rendere disponibile terra per l’agricoltura e per gli scavi petroliferi, ma fino all’offensiva di Hussein la riduzione dell’area paludosa è stata parzialmente contenuta. Nel 2003, quando l’Iraq è stato invaso dall’esercito Usa, le paludi erano ormai ridotte al 10% della superficie originale. Il danno è stato gravissimo. La popolazione locale, nota con il nome di “arabi delle paludi” che viveva di attività strettamente legate all’ecosistema è stata trasferita, e l’ecosistema è stato praticamente azzerato, trasformando un’area umida in un deserto.

Dal 2003 però è iniziato un progetto di ripristino delle paludi il cui principale responsabile è Azzam Alwash, iracheno fuggito dal paese durante il regime e tornato successivamente. Alwash ha fondato associazione Nature Iraq, per la protezione e il ripristino del patrimonio naturale del Paese.

Molto è stato fatto dal 2003, ma in questo momento a ostacolare il lavoro di Alwash e colleghi ci si è messa anche la siccità che sta colpendo severamente la regione (la seconda in pochi anni). Se nel 2007 la superficie di palude era riuscita a ricoprire il 50% dell’originale ora è scesa al 30%, costringendo gli abitati che erano ritornati a pensare di abbandonare di nuovo la zona.

Il problema non è solo la riduzione delle aree umide. La serie di canali costruiti da Hussein per deviare il corso del Tigri e dell’Eufrate ha infatti interrotto il consueto ciclo dell’acqua: in primavere le piene stagionali andavano a rifornire d’acqua  fresca l’area, ripulendo gli accumuli salini nelle paludi. Queste piene non ci sono più e il risultato è che le paludi stanno diventando progressivamente più saline, con notevoli danni all’ecosistema. Fra le specie locali più in pericolo si trova l’anatra marmorizzata. Un altro uccello che era completamente sparito dalla zona era  l’Acrocephalus griseldis: sembrerebbe che la specie sia ritornata a nidificare nelle paludi, e questo sarebbe un segnale molto positivo secondo gli esperti.

Il piano di protezione e ripristino delle paludi della Mesopotamia è molto interessante anche da un altro punto di vista. Si tratta infatti di un piano di protezione dell’ecosistema in cui la componente umana tradizionale è assolutamente parte integrante. Quest’area è infatti abitata dall’uomo da tempi immemorabili (si tratta proprio della cosiddetta mezzaluna fertile dove si sono poste le radici della nostra civiltà). In questo senso l’uomo con i metodi tradizionali di sfruttamento dell’ambiente è diventato parte fondante dei ritmi naturali dell’area. Gli arabi della palude hanno sviluppato una cultura completamente incentrata sulla palude e sulla sopravvivenza di questo ecosistema: abitazioni, metodi di coltivazione, di pesca, di sfruttamento delle risorse naturali.

Qualche anno fa (ero convinta fosse stato al Mart di Rovereto, ma cercando nel database delle mostre non ne ho trovato traccia) ho avuto modo di visitare un’esposizione sulle abitazioni tradizionali in cui era dato ampio spazio alla case galleggianti degli arabi della palude. Sono rimasta colpita dalla profonda integrazione con l’ambiente che queste abitazioni dimostravano. Se vi interessa sapere di più sull’argomento vi consiglio questa pagina.

Condividi su
Federica Sgorbissa
Federica Sgorbissa è laureata in Psicologia con un dottorato in percezione visiva ottenuto all'Università di Trieste. Dopo l'università, ha ottenuto il Master in comunicazione della scienza della SISSA di Trieste. Da qui varie esperienze lavorative, fra le quali addetta all'ufficio comunicazione del science centre Immaginario Scientifico di Trieste e oggi nell'area comunicazione di SISSA Medialab. Come giornalista free lance collabora con alcune testate come Le Scienze e Mente & Cervello.