Io aiuto te, tu aiuti me: pesci e piante nel Mar Baltico
Quantità e tipo di pesci sono fattori fondamentali per il benessere delle piante e delle alghe che occupano i livelli più bassi della catena trofica perché mantengono la biodiversità e aumentano la capacità dell’ecosistema di assorbire i disturbi estranei.
RICERCANDO ALL’ESTERO – “L’ecologia è appassionante perché permette di capire i meccanismi che stanno dietro a questa cosa stupenda che è la natura. Si riceve così tanta ispirazione anche solo facendo una semplice passeggiata e basta stare un po’ a stretto contatto con l’ambiente che ti vengono in mente un sacco di domande sulla sinergia tra animali e piante. E comunque il mio è il lavoro più bello del mondo”.
Nome: Serena Donadi
Età: 33 anni
Nata a: San Donà di Piave
Vivo a: Stoccolma (Svezia)
Dottorato in: Ecologia marina (Paesi Bassi)
Ricerca: Pesci e piante in una relazione di mutuo soccorso
Istituto: Stockholm University (Stoccolma, Svezia)
Interessi: sport vari ma soprattutto l’arrampicata, il nuoto e fare immersioni; ascoltare musica, andare ai concerti
Di Stoccolma mi piace: la natura è ben integrata nella città; l’acqua, gli alberi e i boschi
Di Stoccolma non mi piace: la metropolitana perché è un posto in cui la gente si ignora apposta e guarda il cellulare tutto il tempo
Pensiero: Happiness [is] only real when shared (Jon Krakauer, Into the Wild)
Qual è il legame tra pesci e piante in un ecosistema marino?
Tutti gli elementi di un ecosistema, siano essi biotici (cioè vivi) o abiotici (cioè legati all’ambiente chimico-fisico) interagiscono tra loro in modi spesso imprevedibili e non lineari, che definiamo sinergici. In più, in tutto questo si inseriscono anche gli esseri umani con il loro impatto.
Il tipo di relazione che si instaura tra le varie componenti dipende dal tipo di mare che osserviamo, per esempio il Mar Baltico della Germania ha caratteristiche diverse da quello della Svezia. E anche considerando la Svezia stessa, ci sono milioni di isole e isolette che rendono l’ambiente costiero molto complesso, frastagliato e pieno di insenature. Il progetto di ricerca di cui mi occupo prende in considerazione la costa est del Mar Baltico svedese, che ha ambienti poco profondi, ricchi di vegetazione e molto importanti per le popolazioni di pesci. In particolare studio le interazioni tra piante sommerse e pesci, cosa succede quando una di queste componenti viene a mancare o quando se ne aggiunge una nuova, come questi cambiamenti influenzano la resistenza e la resilienza dell’ecosistema.
Per quanto riguarda la vegetazione, le piante hanno il fondamentale ruolo di nursery per i pesci nei primissimi stadi di vita: fungono da substrato per il deposito delle uova, quando non liberate nella colonna d’acqua, e forniscono un habitat ideale per i pesci neonati, protetto dai predatori e ricco di cibo.
I pesci a loro volta sono molto importanti per la vegetazione attraverso quella che viene chiamata cascata trofica, un effetto che parte dai pesci più grossi che si alimentano di quelli più piccoli e così via fino ai livelli più bassi della catena, cioè le piante. Un po’ come la canzone di Branduardi “Alla fiera dell’Est”.
Cosa succede se uno di questi livelli trofici viene a mancare?
Il livello successivo aumenta: se noi togliamo i pesci grossi, quelli più piccoli aumentano e le prede dei pesci piccoli possono diminuire. Parliamo di crostacei e invertebrati che fanno parte della cosiddetta epifauna (cioè organismi che vivono a stretto contatto con il loro substrato) e che sono molto importanti per la salute della vegetazione perché la ripuliscono dalle alghe che ci vivono sopra e che competono per luce, nutrienti e altro.
Se le piante hanno un effetto benefico sui pesci e viceversa, quello che vorremmo capire è se esistono meccanismi di feedback positivo, cioè se più vegetazione vuol dire più pesci e così via. E se è così, quanto sono importanti la biodiversità e la diversità funzionale di queste piante o se esistono processi che possono aumentare la resilienza del sistema a pressioni esterne. Qui nel Mar Baltico c’è stata una grossa eutrofizzazione, cioè un eccesso di nutrienti versati in mare. Questo è avvenuto in un ambiente marino che non ha ricambio e ricircolo d’acqua e in cui il forte accumulo di queste sostanze aumenta il rischio di esplosioni d’alghe, soprattutto di cianobatteri.
Quali sono i metodi di indagine utilizzati per questo tipo di ricerca?
Il mio preferito è quello sperimentale, quindi lavorare direttamente sul campo, ma facciamo anche monitoraggio, analisi di dati e modellizzazioni.
Per quanto riguarda gli esperimenti fatti in mare, si tratta di manipolare le diverse componenti dell’ecosistema per capire come interagiscono tra loro. Per esempio si possono togliere da una certa zona i grossi pesci, utilizzando delle opportune gabbie. Oppure si può simulare l’impatto umano aggiungendo fertilizzanti, il tutto ovviamente in modo controllato per non creare nessun danno a livello di sistema ambientale. Ci sono anche esperimenti fatti in mesocosmi, che sono delle specie di secchielli, o in acquari ma io di solito lavoro in campo aperto.
Il monitoraggio consiste nell’uscire in barca e raccogliere tutti i dati possibili sui vari livelli trofici: le piante e i pesci presenti, il tipo di organismi che vivono nella vegetazione, la temperatura dell’acqua, la quantità di nutrimento, la salinità, l’esposizione al moto ondoso.
Tutte queste informazioni, insieme alle serie storiche di dati, vengono poi rielaborate da software statistici: sono strumenti che hanno un’altissima flessibilità e ci permettono di creare tutti i modelli che vogliamo, dalla geostatistica alla dinamica di popolazione.
I modelli che create hanno valore predittivo?
In generale esistono due tipi di modelli, a priori e a posteriori. Noi modelliamo quello che abbiamo osservato per cercare di spiegare come l’ecosistema può funzionare, non puntiamo a fare previsioni, al massimo a dare suggerimenti. Anche perché nei nostri studi c’è una fortissima contestualizzazione e quindi non è detto che il modello sia valido ovunque.
Personalmente, mi auguro di dare consigli per conservare e ristabilire ambienti naturali degradati o a rischio e per preservare quelli buoni che ci sono. Capire la relazione tra piante e pesci è importante anche a livello politico, per consigliare i policy maker sul tipo di vegetazione e sul numero di pesci necessari per mantenere il sistema in uno stato di salute. O per segnalare se ci sono delle soglie che devono o non devono essere superate. Stiamo anche cercando di capire l’impatto che può avere la pesca e l’eutrofizzazione, magari per aiutare chi sta al governo a legiferare sui permessi o sulla regolamentazione delle barche.
Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?
Durante il progetto sono sorte domande specifiche su altri tipi di impatto, per esempio quello della pesca ricreativa che tanto piace agli svedesi o degli uccelli e foche che stanno tornando in queste zone. E vorremmo indagare più nel dettaglio i legami che si formano tra questo tipo di catena trofica, chiamata verde, e quella marrone legata ai detriti. Nel sistema marino, il detrito è il corrispondente dell’humus del sistema terrestre, quindi è un accumulo di massa ottenuto dalla decomposizione di piante e animali. In pratica vogliamo capire meglio l’alternanza di fonti di energia per il sistema, che durante l’estate deriva dalla vegetazione mentre durante l’inverno dal detrito.
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