Inchiostro al piombo per i papiri di Ercolano
Leggere i papiri di Ercolano senza aprirli ora è più facile: una ricerca rivela che i documenti erano scritti con il piombo, una pratica che si riteneva molto posteriore.
SCOPERTE – Pompei ed Ercolano: due città passate alla storia non solo per il tragico destino, ma anche per tutto ciò che ci hanno tramandato, custodendolo per secoli sotto le ceneri vulcaniche. Un patrimonio che da oggi è ancora più ricco, grazie a una scoperta frutto del lavoro di un gruppo di ricerca internazionale.
Uno studio pubblicato su PNAS rivela che i papiri di Ercolano furono vergati non con un inchiostro di natura esclusivamente organica, bensì con uno metallico (un impasto di piombo, gomma arabica e nero fumo). Il che ne retrodata l’uso di circa quattro secoli.
Il risultato è stato raggiunto dal gruppo guidato da Vito Mocella dell’Istituto per la microelettronica e microsistemi del Cnr di Napoli, che ha collaborato con l’Institut National de la Santé et de la Recherche médicale, l’Università di Grenoble – Alpes, il Cnrs francese e l’Università di Gand in Belgio. Le attività di ricerca si sono tenute all’European Synchrotron Radiation Facility (ESRF) di Grenoble, in Francia.
Combinando diverse tecniche non distruttive di luce di sincrotrone, utilizzate su due frammenti di papiri, è stato possibile dimostrare che nell’inchiostro la concentrazione di piombo era così elevata da non poter dipendere da una contaminazione del metallo (eventualmente spiegabile con la presenza di quest’ultimo negli impianti idrici o con l’uso di calamai di bronzo).
“Finora si pensava che prima del IV-V secolo dopo Cristo il metallo non fosse presente nell’inchiostro dei papiri greco-romani. Infatti la prima miscela ferro-gallica identificata come inchiostro di scrittura di pergamena risale solo al 420 dopo Cristo. In seguito, gli inchiostri metallici sono diventati la norma per i documenti della tarda antichità e per la maggior parte di quelli del Medioevo”, spiega Mocella in un comunicato.
Quella della Villa dei papiri di Ercolano è l’unica libreria dell’antichità pervenuta quasi integralmente, contenente trattati filosofici in greco e alcune commedie in latino. Ben 2000 libri (di cui 600 ancora sigillati) estremamente fragili, che precedenti tentativi di lettura avevano danneggiato in modo grave – se non irreversibile.
Nell’Ottocento, infatti, questi venivano scorticati e sezionati in due, con scarsissimi risultati. In anni recenti si sono raggiunti buoni risutati grazie alla procedura messa a punto dal professor Mario Capasso, basata sullo srotolamento e sull’imbibizione negli estratti della pianta stessa. Una pratica tanto certosina quanto invasiva. Ma ora la lettura a raggi X (tomografia contrasto di fase) consente finalmente di salvaguardarne l’integrità.
“Grazie alla potenza di fascio del sincrotrone di ESRF le analisi sono state molto veloci, un decimo di secondo a pixel, il che – sottolinea Mocella – ci ha permesso di acquisire numerosi dati molto rapidamente e su tutti i campioni. Abbiamo quindi la certezza della correlazione tra informazione chimica e la traccia visibile delle lettere”.
Nel 2015 lo stesso gruppo era riuscito a identificare alcune lettere greche e un alfabeto quasi completo. Questo nuovo risultato apre percorsi inediti non solo per lo studio dei papiri, ma anche per altre applicazioni in archeologia. Aggiunge infatti il ricercatore: “Grazie alle competenze diversificate messe in campo e all’utilizzo delle tecniche disponibili su diverse linee di luce di ESRF, abbiamo spinto a un livello mai raggiunto la nostra conoscenza degli inchiostri del periodo classico dell’antichità e pensiamo di poter ottimizzare la tecnica e le lunghezze d’onda della luce da utilizzare per l’analisi e la lettura di altri documenti antichi”.
Ora il sogno degli studiosi è ottenere fondi “per sostenere una squadra che si dedichi completamente allo studio dei contenuti, per svelare i misteri di questi papiri scritti circa 2000 anni fa”. Forse solo allora gli ultimi segreti rimasti sepolti per due millenni saranno svelati.
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