Sono stati presentati i risultati di ampio studio condotto su circa 40.000 scienziati di tutto il mondo: la stragrande maggioranza è molto favorevole a rendere pubblici gratuitamente i risultati della ricerca, ma pochi sono disposti a farlo. Gli ostacoli: il costo e la qualità.
NOTIZIE – La ricerca sullo stato dell’open access è stata condotta con il progetto europeo SOAP (Study of Open Access Publishing). Naturalmente il report preliminare è già a disposizione del pubblico e così come i dati che saranno poi integrati appena finita l’elaborazione.
La pubblicazione dei risultati di una ricerca è la conclusione necessaria di tutto il processo è viene ormai considerata come parte del processo stesso. Se i risultati non vengono resi pubblici all’interno della comunità scientifica di riferimento è come se la ricerca non fosse stata nemmeno fatta. Ogni scienziato cerca di pubblicare in una rivista che abbia degli standard di qualità alti e che possa così valorizzare il suo lavoro al meglio. Significa cioè che la rivista deve garantire una procedura di selezione accurata, basata sulla peer-review cioè sulla valutazione del lavoro da parte di altri colleghi del settore, e avere un alto impact factor, un indice calcolato in base al numero di citazioni della rivista stessa: più alto è l’impact factor più letta e diffusa è la rivista. La cosa naturalmente è più complicata perché come tutti gli indici e come tutte le classifiche anche l’impact factor ha molti difetti, primo fra tutti che è calcolato da una ditta privata, oggi appartenente al gruppo Thomsom Reuters, con delle procedure non proprio trasparenti. Tuttavia, dicono gli editori delle riviste, meglio un impact factor alto che basso, anche se il parametro ha un significato limitato e criticabile.
Il modo tradizionale di diffusione di una rivista è quello dell’abbonamento. Chi è abbonato riceve o può leggere online gli articoli, chi non paga non legge.
Negli ultimi anni, si è diffuso sempre di più e in comunità scientifiche sempre più allargate il sistema dell’open access, secondo il quale paga chi pubblica e non chi legge, proprio in base al principio che la pubblicazione rientra nel processo di ricerca e quindi è il suo costo deve essere a carico degli autori e non dei lettori. È ovvio che i costi della produzione devono quindi essere spostati dalle biblioteche, i destinatari delle riviste su abbonamento, ai gruppi di ricerca stessi.
Esempi noti di open access sono PLOS nel campo della biologia, BioMed Central nelle scienze mediche e JHEP per la fisica delle alte energie che, pur essendo una comunità molto piccola, ha avuto nel passato idee brillanti, come per esempio i famosi archivi di Los Alamos ora ospitati alla Cornell University, che hanno modificato il modo di diffusione dei preprint, cioè dei lavori in corso di definizione che gli scienziati si trasmettono prima della pubblicazione vera e propria su una rivista, e poi come archivio degli articoli pubblicati.
Lo studio SOAP si basa su un questionario condotto tra aprile e novembre 2010 su circa 40.000 scienziati di 162 paesi diversi, appartenenti a discipline molto varie, e che avevano pubblicato almeno un articolo su una rivista scientifica con peer-review negli ultimi cinque anni.
Quasi il 90% degli intervistati considera l’open access positivo per la propria ricerca con dei picchi nelle scienze umane che superano il 90% e con dei minimi intorno all’80% in chimica, astronomia, fisica e ingegneria. I motivi di questo atteggiamento positivo sono: benefici per la comunità scientifica (36%), vantaggi economici (20%), importanza per il pubblico (18%), vantaggi personali (10%), accessibilità (9%).
Malgrado l’atteggiamento estremamente positivo dei ricercatori nei confronti dell’open access solo l’8%-10% degli articoli totali viene pubblicato con il sistema dell’open access. I motivi sono i più vari: non si trovano i finanziamenti per pubblicare open access (39%), non ci sono garanzie sulla qualità scientifica della rivista (30%), non ci sono riviste open access nel settore o non sono accessibili (15%), per abitudine a pubblicare sulle stesse riviste (4%), lo farò la prossima volta (2%).
Lo studio SOAP offre alla comunità scientifica, agli editori specializzati e a chi in generale si occupa di pubblicazioni scientifiche molti dati su cui riflettere e delineare nuovi e più efficaci metodi per la diffusione dei risultati della ricerca.
Per saperne di più si può guardare il video e la presentazione online.