Undici minacce di cause legali, cinque di morte, tredici proposte di partnership commerciali e una lettera dalla Perkins Coie, lo studio d’avvocati di Facebook, che intima di desistere
WEB&NEW MEDIA – Questi i numeri di quello che può essere definito un esperimento tecno-sociale: Face to Facebook. I protagonisti sono due italiani, Paolo Cirio e Alessandro Ludovico, che si definiscono “media artists”. Realizzando un software particolare, in grado di riconoscere i connotati dei visi, hanno analizzato circa un milione di profili pubblici di Facebook e postato duecentocinquantamila foto di utenti raggruppandole in base all’espressione facciale in un sito web per appuntamenti, chiamato Lovely-Faces.com.
A questo punto una domanda è legittima: perché diavolo l’hanno fatto? La risposta, beninteso, non è facile. “Possiamo definirla una performance, dal momento che il tutto è avvenuto in brevissimo tempo e ha coinvolto un pubblico in trasformazione, evolvendo poi in una storia avvincente”, spiega Paolo Cirio “Il ritmo delirante di questi eventi digitali è incredibile”.
Tutto è cominciato il 2 febbraio a Berlino, durante Transmediale, il festival annuale di arte e cultura digitale. I due hanno presentato un’installazione composta da 1.716 foto di altrettanti inconsapevoli utenti di Facebook, da un dettagliato diagramma dell’intero processo tecnico-creativo e da un video esplicativo. Nella stessa giornata hanno lanciato il sito Lovely-Faces.com, un finto servizio di appuntamenti per single.
Il 3 febbraio, il giorno dopo, ecco la detonazione mediatica: i principali quotidiani, telegiornali e siti web di news internazionali (dalla CNN al der Spiegel) hanno riportato, spesso scandalizzati, la notizia del “furto”.
“È stata la notizia perfetta per l’etico mondo del web”, commentano provocatoriamente i due. In effetti gli ingredienti ci sono tutti: cinquecento milioni di utenti inconsapevoli coinvolti a loro insaputa in un progetto che tocca la paura fondamentale della navigazione web. Siamo in grado di gestire e controllare ciò che pensiamo e facciamo davanti al nostro computer? Di chi è la proprietà di ciò che esprimiamo online?
Ovviamente la reazione della creatura di Zuckerberg, uomo dell’anno di Time, non si è fatta attendere. Nell’arco di ventiquattr’ore gli account di Ludovico e Cirio sono stati disabilitati. Non solo, ovviamente. Si sono visti recapitare una lettera da parte dello studio di avvocati della Perkins Coie, in rappresentanza del social network, che intimava di smetterla, desistendo dall’operazione, restituendo a Facebook i dati.
4 febbraio: la notizia si trasforma in un passa-parola virale. migliaia di tweet e retweet sul fenomeno Lovely-Faces.com e gli articoli sulla stampa ha portato una miriade di persone a visitare il sito, per controllare la loro presenza. In una manciata di giorni si sono registrati 964.477 visitatori da 195 paesi diversi. E come hanno reagito? “Le reazioni sono state le più varie, dalle richieste di rimozione, che abbiamo diligentemente attuato, alla richiesta di essere inclusi, fino alle minacce di morte e alle proposte di partnership commerciali”, raccontano Cirio e Ludovico.
A quel punto i due si sono rivolti alla Electronic Frontier Foundation (un’organizzazione internazionale non profit che riunisce avvocati in difesa dei diritti degli utenti del mondo digitale), ma dopo l’arrivo di un secondo avviso da parte della Perkins Coie hanno deciso di mettere offline il sito, con un messaggio di manutenzione temporanea. Ma ai legali del social network non bastava.
“Volevano che il sito fosse del tutto iraggiungibile, compreso Face-to-Facebook.net, dove raccontiamo il progetto”, lamenta Cirio. Il progetto, per certi versi, è anche un omaggio a Mark Zuckerberg. Il sistema ha infatti ripreso un po’ la logica di FaceMash, il prototipo di Facebook, il sistema ideato dal giovane studente di Harvard, che mise online nomi e foto di compagne e compagni a loro insaputa.
Un omaggio evidentemente poco apprezzato dalla società statunitense. I due italiani stigmatizzano l’idea che i dati siano di proprietà di Facebook. “Lo abbiamo fatto attraverso uno script che non è stato nemmeno mai loggato nei server, ma che ha solo rapidamente visionato e registrato i profili. Alla fine Facebook ci ha bloccato l’accesso ai profili, ma tutti i dati che abbiamo postato lo scorso anno sono ancora lì”, spiega Cirio. Questo, secondo il media-artist, proverebbe il fatto che il network è più interessato ai dati postati che alle identità.
E ora che succede? I due reclamano l’accesso al loro account di Facebook e il diritto a documentare il loro lavoro sui siti web, proclamando, tra il serio e il faceto, che “anche se siamo stati costretti ad andare offline, Lovely-Faces.com non andrà mai offline nella memoria delle persone coinvolte”.