AMBIENTE – “Ho visto come si presentano quei fondali” ha dichiarato oggi Samantha Joye dell’Università della Georgia “per il 2012 il dramma del Golfo del Messico non sarà affatto risolto”. Arriva così immediata la smentita a un report rilasciato dalla compagnia petrolifera British Petrol (BP) qualche giorno fa secondo cui “tutto sarà ok entro il 2012”. Tutto cosa evidentemente non è dato sapere, in un incidente, come quello dell’esplosione della Deepwater Horizon al largo della costa della Luisiana (USA), che rappresenta il peggior disastro petrolifero della storia.
A dicembre 2010, la Joye e i suoi colleghi hanno condotto 5 diverse spedizioni prelevando circa 250 campioni dai fondali di un’area di oltre 6.700 chilometri quadrati, al fine di confrontare lo stato del fondale impattato dal petrolio con quello che aveva trovato la scorsa estate.
Secondo quanto precedentemente affermato da alcuni studi finanziati dalla BP sembrava che i batteri mangia-petrolio (batteri in grado di ridurre chimicamente gli inquinanti in composti semplici quali anidride carbonica, acqua e sali inorganici) avessero svolto un lavoro “abbastanza veloce”; il che lasciava certo intuire una massiccia disgregazione del combustibile fossile sversato sui fondali la scorsa primavera. Non è così. Stando alle stime della Joye, ci sarebbe ad oggi una rimozione solo del 10% circa dei residui petroliferi.
Il petrolio, insomma, è ancora li e ha le stesse caratteristiche chimiche di quello fuoriuscito dal pozzo rimasto aperto dopo l’incidente, un dato importante per dimostrare le responsabilità di BP.
A beneficio dei San Tommaso in buona o cattiva fede, la dottoressa Joey ha anche portato in superficie dalle sue esplorazioni sottomarine le immagini di molti animali morti sul fondale, coperti, soffocati o intossicati dal petrolio e dalla fuliggine generata a suo tempo dalla combustione del petrolio, prima misura di emergenza effettuata a ridosso dell’esplosione. Eppure non si tratta solo di questo e delle sue ripercussioni lungo la catena alimentare, ma di un problema molto più complesso.
In uno studio apparso recentemente sulla rivista Nature Geoscience Joye e colleghi indicano come l’incidente avenuto nel Golfo del Messico ha scaricato in mare non solo petrolio liquido, ma anche quantità ingenti di gas idrocarburi (ad es. metano), l’effetto dei quali sull’ambiente rimane ad oggi sottostimato. Secondo la ricercatrice e i suoi colleghi sarebbe possibile che l’azione di degradazione dei gas da parte di micro-organismi marini porti a una riduzione di ossigeno tale da creare vere e proprie anossie, situazioni cioè in cui l’ossigeno non è più disponibile per tutti gli organismi marini, che quindi muoiono soffocati.
A detta degli esperti dovremo aspettare ancora una decina d’anni per avere le prove visibili degli effetti del disastro che “non sarebbe mai potuto succedere”, in barca alle visioni ottimistiche dei portavoce della BP.