Basta un attimo e zap! l’animaletto non c’è più. Ma che cosa succede davvero quando le utricolarie, piccole piante acquatiche carnivore, “mangiano” le loro prede? Per scoprirlo ci è voluta una telecamera ad alta velocità.
CRONACA – Ne abbiamo fatta di strada da quando, nel 1665, Robert Hooke avvicinò l’occhio a un primo, rudimentale microscopio e descrisse la particolare struttura a “piccole celle” (cellule) di un pezzo di sughero. Oggi come allora, basta avere a disposizione uno strumento o una tecnica un po’ più sofisticati dei precedenti per accedere a un mondo di conoscenze inimmaginabili. Così, grazie a una telecamera ad alta velocità, un gruppo di ricercatori del Laboratoire interdisciplinaire de Physique
dei Cnrs di Grenoble, è riuscito a “catturare” i dettagli del meccanismo fisico con cui le utricolarie, piccole e diffusissime piante carnivore acquatiche, intrappolano le loro prede .
Già Charles Darwin aveva subito il fascino di queste piante, che hanno in genere radici e fusti poco sviluppati, galleggiano sul pelo dell’acqua e sono ricche di trappole – gli utricoli – per la cattura di piccoli organismi (larve di insetti, nematodi, Daphniae) da cui ricavano quelle sostanze nutritive che tendono a scarseggiare nell’ambiente in cui vivono. Nel suo Insectivorous Plants, Darwin dedicava diverse pagine alla descrizione di due specie in particolare di Utricolaria (neglecta e montana), soffermandosi proprio sulla descrizione degli utricoli e sul loro funzionamento. Si tratta, in pratica, di una sorta di sacchettino in grado di risucchiare la preda, che viene degradata dagli enzimi digestivi presenti al suo interno. Una descrizione dettagliata del meccanismo fisico di questo “risucchio”, però, era al di là della portata del naturalista inglese, visto che il fenomeno avviene a velocità tali da non poter essere discriminate dall’occhio umano.
Per arrivare a questi livelli di indagine occorreva uno strumento adeguato – la telecamera ad alta velocità – e qualcuno che pensasse di utilizzarlo proprio per riprendere i pasti di queste piantine. Lo ha fatto il giovane Philippe Marmottant (e colleghi), scoprendo che il movimento degli utriculi – uno dei più veloci in assoluto nel mondo vegetale – è tutto questione di meccanica e, per la precisione, di conversione di energia elastica in energia cinetica. “La trappola funziona con un meccanismo a due fasi”, scrivono Marmottant e soci in un articolo pubblicato sui Proceedings of the Royal Society B. Durante la prima fase, che è lenta e dura circa un’ora, alcune ghiandole presenti all’interno dell’utricolo pompano l’acqua fuori dal “sacchettino”: così, l’energia elastica si accumula all’interno della trappola stessa. “Alla fine di questa fase”, chiariscono gli scienziati, “le pareti della trappola appaiono concave, fin quasi a toccarsi verso l’interno”.
Il sacchetto è chiuso da una “porta” flessibile, dotata di sottili protuberanze con funzioni sensoriali. Quando un animale sfiora e stimola uno di questi “peli” scatta la seconda fase, ultrarapida (dura in tutto un paio di millisecondi): “La porta comincia ad aprirsi, le pareti della trappola si rilassano e una piccola massa d’acqua viene risucchiata con violenza all’interno, trascinando con sé la preda”. Con le sue simulazioni grafiche e l’esempio del cappuccio di gomma, il video aiuta a capire bene che cosa accade. E per chi voglia saperne di più sulla fisica del fenomeno, c’è un paper specifico su Arxiv.
[Sì, lo so: l’inglese dello speaker del video è piuttosto “difficoltoso”, ma ci sono anche dei sottotitoli, sempre in inglese, che aiutano].