ricerca

Il fumo, il fisco e il motore di ricerca

Tassare i prodotti dannosi per la salute è un mezzo efficace per convincere i cittadini cambiare comportamento? Risposta su Google.

WEB&NEW MEDIA – Negli Stati Uniti, le cause di morte prematura sono nell’ordine il tabacco (435.000 vittime; il 18,1% del totale), la dieta sbagliata e l’inattività fisica (365.000; 15,2%), l’alcol (85.000; 3,5%). Come nel caso di altre tossicodipendenze, l’effetto del prezzo maggiorato è difficile da valutare. Per l’economista della sanità Mark Stehr, per esempio, circa il 10% dei fumatori cerca di smettere di fumare mentre più del doppio cerca di procurarsi sigarette non tassate, ma con ampi margini d’incertezza dovuti a una carenza di dati affidabili – cioè agli acquisti nelle riserve indiane e altri luoghi esentasse, al contrabbando e alla violazione dei divieti di vendita ai minorenni.
Per aggirare l’ostacolo, John Brownstein della Harvard Medical School e due suoi colleghi hanno analizzato le ricerche fatte dagli americani con Google dal 2004 al 2010 per stimare l’impatto di un’imposta aggiuntiva di 0,60 dollari applicata in tutto il paese, meno i luoghi esentasse, nel 2009. L’hanno confrontato con quelle fatte in Canada dove l’imposta è rimasta invariata; in Florida e nello stato di New York prima e dopo una tassa locale.
I risultati, pubblicati su PLoS ONE, confermano in sostanza quelli di Mark Stehr e di altri economisti:

Appena è entrata in vigore la nuova tassa federale, le ricerche on line su “come smettere di fumare” sono aumentate dell’11,8% e in un paio di settimane sono tornate al livello precedente; quelle per le sigarette tax-free sono aumentate del 27,9% (…) e sono rimaste stabili dalla 14ma alla 52ma settimana.

La parte più interessante della ricerca riguarda i limiti e le potenzialità di simili analisi statistiche. Da un lato, non si sa se i fumatori connessi a internet siano un campione rappresentativo o se approfittino o meno delle offerte e dei consigli on-line, questi paiono deludenti a giudicare dal veloce declino nella frequentazione dei siti appositi. Dall’altro, oltre il 4% delle ricerche effettuate ogni giorno riguarda la salute, e le loro variazioni sono già utilizzate con successo per prevedere la diffusione di malattie infettive o di intossicazioni alimentari. Perciò gli autori suggeriscono

pubblicità specifiche per ogni intervento (delle autorità sanitarie, ndr) che compaiono in corrispondenza di parole chiave e che si possono comprare dai motori di ricerca per 0,01 dollaro a cliccata

Un costo ridicolo rispetto a quello di mandare squadre sul territorio a rilevare dati, in effetti; l’efficacia potrebbe essere valutata in tempo reale e la pubblicità cambiata via via per adattarsi più precisamente alla situazione. Ma la ricerca di John Brownstein et al. è stata in parte finanziata da Google e qualcuno potrebbe vederci l’ambizione di diventare il Grande Fratello universale. Per il nostro bene, ovviamente…

Condividi su