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Sophia Jex-Blake e “le sette di Edimburgo”

Sophia Jex-Blake – medica, femminista e attivista britannica del XIX secolo – ha combattuto per la libertà di accesso delle donne ai corsi di laurea in medicina

Ha trovato il coraggio di andare oltre le convenzioni del mondo in cui viveva, oltre ciò che nella sua epoca era considerato giusto e naturale. Ha affrontato l’odio cieco di uomini disposti a tutto pur di non perdere i propri privilegi. Ha corso rischi e compiuto sacrifici per il progresso dell’intera società, per spianare la strada alle generazioni future, nell’intima convinzione che certe battaglie andassero combattute non solo per se stessa, ma anche e soprattutto per chi sarebbe venutə dopo di lei. 

Per questo la storia di Sophia Jex-Blake – medica, femminista e attivista britannica – merita di essere conosciuta e raccontata. La libertà di accesso femminile ai corsi di laurea in medicina è stata ottenuta anche grazie alle pionieristiche battaglie condotte nella seconda metà dell’Ottocento da lei e da altre sei donne: “le sette di Edimburgo”. 

Tra i vari episodi di cui sono state protagoniste Jex-Blake e le sue compagne di lotta, spicca quello conosciuto come “la rivolta di Surgeons’ Hall”, nel novembre del 1870, quando all’ingresso dell’aula di anatomia dell’Università di Edimburgo, dove si apprestavano a sostenere un esame, furono accolte da un vero e proprio branco di uomini inferociti – docenti e studenti, molti dei quali ubriachi – che oltre a insultarle gettarono loro addosso fango e spazzatura. “Le sette di Edimburgo” non si scomposero e con grande dignità continuarono a frequentare l’università, ma alla fine il tribunale accademico decise che, in quanto donne, non avevano diritto a ottenere la laurea in medicina.

Nel 2015 è stata apposta all’ingresso di Surgeons’ Hall una targa commemorativa dedicata a Jex-Blake e alle sue colleghe e nel 2019 la Scuola di Medicina dell’Università di Edimburgo ha assegnato postuma la laurea negata 150 prima. Meglio tardi – tardissimo, in questo caso – che mai.

I primi anni e il trasferimento negli Stati Uniti

Sophia Louisa Jex-Blake nasce nel 1840 a Hastings, in Inghilterra. Cresce in una famiglia dell’alta borghesia – il padre è un eminente avvocato – e fino a otto anni viene educata in casa, poi frequenta una scuola privata e nel 1858 si iscrive al Queen’s College di Londra. L’anno successivo, appena diciannovenne, ottiene un posto come insegnante di matematica nello stesso istituto in cui ha studiato, dove rimane fino al 1861. 

Mossa dal desiderio di estendere il più possibile l’accesso delle donne all’istruzione e a lavori qualificati, Jex-Blake decide di studiare da vicino un sistema educativo diverso rispetto a quello britannico. Si trasferisce quindi negli Stati Uniti, dove ha la possibilità di visitare diverse scuole, college e istituti femminili. Da questa esperienza nasce il suo primo saggio, A Visit to Some American Schools and Colleges. Nel 1865, durante una visita al New England Hospital for Women and Children di Boston conosce la dottoressa Lucy Sewall – femminista e attivista per la riforma sanitaria e sociale, una delle prime donne a laurearsi in medicina negli Stati Uniti – che le propone di fare un tirocinio come assistente in ospedale. Per Jex-Blake è una vera e propria epifania: nei mesi trascorsi al New England Hospital si rende conto di avere la vocazione per la medicina.

Nel 1867 Sophia Jex-Blake e Susan Dimock, un’altra tirocinante del New England Hospital, scrivono una lettera all’Università di Harvard. Chiedono, semplicemente, di poter sostenere i test per essere ammesse alla facoltà di medicina. La risposta di Harvard non si fa attendere ed è inequivocabile: “Non c’è, in nessun dipartimento di questa università, nessuna disposizione che autorizzi l’accesso delle donne ai nostri corsi”. In fondo gli Stati Uniti non sono tanto diversi dalla Gran Bretagna. 

Jex-Blake rientra in patria quello stesso anno, dopo l’improvvisa morte del padre. Non si dà per vinta e, mossa dal duplice desiderio di studiare medicina ed estendere il diritto all’istruzione a tutte le donne, va alla ricerca di un terreno fertile in cui provare a far attecchire le sue idee. In quel periodo sembra che in Scozia stia prendendo piede una visione più aperta e progressista del ruolo della donna nella società. Jex-Blake coglie la palla al balzo e fa richiesta di iscrizione all’Università di Edimburgo.

L’iscrizione all’Università di Edimburgo e la campagna di The Scotsman

Nel marzo del 1869, dopo un lungo tira e molla e tra molteplici tensioni, l’Università di Edimburgo approva la domanda di iscrizione di Jex-Blake alla facoltà di medicina, richiesta che viene successivamente rigettata dal tribunale accademico perché l’università non può prendere una decisione così importante “nell’interesse di una sola donna”.

Quello stesso anno Sophia Jex-Blake pubblica un altro saggio, Medicine as a profession for Women, in cui sostiene che finché l’istruzione delle ragazze sarà limitata all’educazione domestica, l’ovvia conseguenza sarà che le donne non potranno competere con gli uomini. Aggiunge che l’inferiorità intellettuale delle donne è un mito e che basterebbe dar loro le stesse opportunità che vengono normalmente concesse agli uomini per vederle ottenere risultati analoghi. A noi può sembrare un’ovvietà, ma all’epoca era espressione di un punto di vista tanto coraggioso quanto minoritario e marginale.

Aiutata da David Masson, professore di retorica e letteratura inglese all’Università di Edimburgo, Jex-Blake si rivolge alla redazione di The Scotsman, quotidiano locale di stampo liberale. L’idea è quella di sfidare l’università organizzando una campagna per trovare altre donne disposte a fare richiesta di iscrizione alla facoltà di medicina.

Si forma così il gruppo passato alla storia col nome di “le sette di Edimburgo”, chiamato anche “Septem contra Edinam” (“le sette contro Edimburgo”, in riferimento alla tragedia di Eschilo “I sette contro Tebe”). Le donne che lo compongono, oltre a Sophia Jex-Blake, sono Edith Pechey, Isabel Thorne, Matilda Chaplin, Helen Evans, Emily Bovell e Mary Anderson.

Nel novembre del 1869, dopo aver superato tutti i test di ammissione con risultati eccellenti e mediamente superiori a quelli dei colleghi maschi, le sette di Edimburgo diventano le prime studentesse in assoluto a ottenere l’accesso a un’università britannica. Jex-Blake scrive alla sua amica Lucy Sewall che “è davvero grandioso poter entrare in un’università aperta alle donne”.

Un percorso tribolato

Le sette studentesse, però, non hanno vita facile. Lo statuto dell’università viene modificato nel 1870 per definire il modo in cui regolamentare l’educazione femminile. Tra le altre cose, viene specificato che le donne seguiranno lezioni in classi separate e che, essendo in numero nettamente inferiore rispetto agli uomini, pagheranno rette più alte. 

Nel marzo del 1870, “le sette di Edimburgo” sostengono i primi esami. Quattro di loro ottengono la lode e una, Edith Peachey, viene giudicata meritevole di una borsa di studio. Non le viene concessa a causa del clima di crescente ostilità, alimentato in particolare da due docenti, Robert Christison e Thomas Laycock, fermamente convinti che le donne possano tuttalpiù aspirare a diventare ostetriche, non dottoresse. L’atteggiamento di Christison e Laycock porta in breve tempo all’esacerbarsi degli animi. Molti docenti preferiscono non tenere lezioni per le sette studentesse, mentre sempre più ragazzi iniziano a comportarsi in modo offensivo e provocatorio: risate di scherno, porte chiuse in faccia e atti di vero e proprio bullismo. È un’escalation, il cui esito finale è la rivolta di Surgeons’ Hall. Per fortuna una minoranza di studenti e docenti sostiene e aiuta le ragazze, arrivando addirittura a scortarle da un’aula all’altra. Un supporto determinante arriva anche dalla stampa nazionale, schierata a favore delle studentesse sin dall’inizio e in particolare dopo i fatti di Surgeons’ Hall. Tanti personaggi illustri, tra cui Charles Darwin, si faranno portavoce delle istanze delle sette studentesse. Nel 1873, però, il tribunale accademico dell’Università di Edimburgo, dopo diverse petizioni e azioni legali, stabilirà in via definitiva di non concedere la laurea al gruppo di studentesse, sostenendo addirittura che l’ateneo aveva sbagliato ad accettare la loro iscrizione.

Gli ultimi anni

Dopo la disavventura con l’università scozzese Sophia Jex-Blake si trasferisce a Londra, dove nel 1874 contribuisce a fondare la London School of Medicine for Women. Prima che finisca il decennio, cinque delle “sette di Edimburgo” riescono a laurearsi in medicina in varie università europee, che nel frattempo avevano aperto le porte alle donne. Jex-Blake si laurea a Berna nel 1877. Nel frattempo, grazie alla campagna mediatica seguita alla vicenda delle “sette di Edimburgo”, il parlamento inglese approva il Medical Act, legge che consente alle donne di frequentare le università e di abilitarsi alla professione medica. La Scozia approverà una legge analoga solo nel 1889.

Sophia Jex-Blake torna a Edimburgo nel 1878, dove apre uno studio medico e fonda la Edinburgh School of Medicine for Women. Muore nel 1912, all’età di 71 anni. Se oggi conosciamo la sua storia nei minimi particolari lo dobbiamo a Margaret Todd – scrittrice, medica e probabilmente compagna di Sophia Jex-Black – che nel 1918 pubblica “The life of Sophia Jex-Blake”, al tempo stesso biografia di una vita e resoconto puntuale delle molteplici battaglie combattute per la libertà di tutte le donne.  


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Immagine: Wikimedia Commons

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Simone Petralia
Giornalista freelance. Amo attraversare generi, discipline e ambiti del pensiero – dalla scienza alla fantascienza, dalla paleontologia ai gender studies, dalla cartografia all’ermeneutica – alla ricerca di punti di contatto e contaminazioni. Ho scritto e scrivo per Vice Italia, Scienza in Rete, Micron e altre testate. Per OggiScienza curo Ipazia, rubrica in cui affronto il tema dell'uguaglianza di genere in ambito scientifico attraverso le storie di scienziate del passato e del presente.