Due italiani a capo di un progetto ambizioso, che potrebbe rivoluzionare la cardiologia attraverso le staminali. Ovviamente non in Italia.
SALUTE – Roberto Bolli, nativo di Perugia e ora a capo della Division of Cardiovascular Medicine dell’University of Louisville (Stati Uniti), sta conducendo uno studio sperimentale all’avanguardia: rigenerare le cellule del cuore che ha subito un attacco cardiaco. Le promesse della ricerca, è il caso di dirlo, sono evidentemente di portata epocale. Stando all’Organizzazione Mondiale della Sanità, le malattie cardiovascolari provocano oltre diciassette milioni di vittime all’anno e rappresentano a tutti gli effetti il killer più letale per l’umanità.
Se tutti i trattamenti attualmente disponibili (trapianti, dispositivi, medicine) possono prolungare la vita degli infartuati, non risolvono il problema. Con la rigenerazione di un nuovo muscolo cardiaco, invece, le cellule staminali potrebbero effettivamente costituire la soluzione definitiva.
La scorsa settimana, per onorare gli sviluppi di questa ricerca, l’American Physiological Society (APS) ha invitato il dottor Bolli a presentare i risultati durante il meeting dell’Experimental Biology. È un riconoscimento importante, destinato agli scienziati che hanno dato un contributo fondamentale nel campo delle scienze biologiche a livello mondiale. “Se i risultati saranno confermati nella fase di follow-up, questo sistema con le cellule staminali cardiache sarà il più grande risultato nella medicina cardiovascolare di tutta la mia vita”, commenta senza giri di parole a Oggiscienza Roberto Bolli. Nel progetto, denominato “Cardiac Stem Cell Infusion in Patients with Ischemic cardiOmyopathy (SCIPIO),” è coinvolto anche un altro italiano, Piero Anversa, che coordina un team del Brigham and Women’s Hospital di Boston.
Ma perché la ricerca del team di Louisville e Boston sarebbe così rivoluzionaria? Fondamentalmente perché se il metodo supererà tutte le fasi di trial clinici, si potrà rigenerare il muscolo del cuore attraverso le proprie cellule.
La prima fase di trattamento di SCIPIO consiste nell’isolare le cellule staminali cardiache del paziente ed espanderle in laboratorio. Dopo quattro mesi di trattamento le cellule staminali ”potenziate” vengono quindi rinfuse nel tessuto cardiaco danneggiato attraverso l’arteria femorale. Usando le stesse cellule cardiache del paziente si elimina così la possibilità di una reazione di rifiuto da parte dell’organismo.
Al di là delle implicazioni mediche, salta all’occhio vedere uno scienziato italiano premiato negli Stati Uniti per la ricerca sulle staminali, il cui impiego nella ricerca italiana è gravato da notevoli limiti di legge. “Non sono molto al corrente al riguardo, ma per quanto concerne i limiti sulle cellule staminali embrionali non credo che ciò costituisca più un problema”, spiega Bolli. “La probabilità che questo tipo di cellule diventino parte delle terapie cliniche è molto bassa: i grossi problemi derivanti dalle reazioni dell’organismo e dalla formazione di tumori inducono ad alternative meno controverse, come le cellule staminali adulte”.
In ogni caso, il progetto di Bolli si avvale delle conoscenze prodotte in vent’anni di ricerca in cardioprotezione. La protezione cardiaca avviene in laboratorio, quando le cellule staminali sono rinvigorite con due enzimi (emeossigenasi 1 e sintesi ossido nitrica), che producono monossido di carbonio e ossido nitrico. I due gas aiutano il tessuto a sopravvivere, proteggendo il cuore colpito da attacco cardiaco, e permettono alle staminali di affrontare la carenza di ossigeno e lo stress ossidativo. In altre parole con il metodo SCIPIO le cellule diventano più resistenti e hanno una maggiore efficacia a riparare i danni.
I medici finora hanno registrato dati molto incoraggianti. Nei pazienti che hanno ricevuto l’infuso di cellule staminali cardiache hanno anche registrato rilevanti miglioramenti a livello fisico: alcuni prima del trattamento non riuscivano nemmeno a raggiungere il bagno e ora possono camminare a lungo senza problemi. Sono risultati che hanno sorpreso lo stesso Bolli: “Ciò che abbiamo ottenuto nella fase 1 sono di gran lunga migliori e più eccitanti delle nostre aspettative”, commenta il medico. “La frazione di eiezione (la percentuale di sangue pompato dal cuore dopo ogni contrazione, ndr) a distanza di un anno dalla cura con le staminali è incredibile e superiore rispetto a quanto sperimentato con altri trials del genere”.
Attenzione, però. Oltre all’ottimismo dei ricercatori, bisogna tener conto che sono solo alla prima fase dei trial. In sostanza hanno vinto il primo round, ma per poter gioire bisogna vincere l’intero match. Lo stesso Bolli, nonostante l’entusiasmo, invita alla cautela: “Ricordiamoci che le applicazioni cliniche potranno concretizzarsi non prima di qualche anno. Perciò i pazienti alla ricerca di nuove terapie, se tutto andrà per il verso giusto, potranno beneficiare del nuovo metodo non prima di cinque anni almeno”.