CRONACA – Alcuni tratti acquisiti possono essere ereditati. Il lamarckismo, buttato efficacemente fuori dalla porta dal darwinismo alla metà del XIX secolo, rientra dalla finestra? In parte, sembrerebbe proprio di sì. Al Medical Center della Columbia University, tre biofisici e biochimici molecolari hanno scoperto come un tratto acquisito possa essere ereditato senza coinvolgere il Dna. Lo studio è stato pubblicato nel numero di dicembre di Cell.
“Nel nostro studio, dei nematodi Caenorhabditis elegans (piccoli vermi del suolo, NdR) che avevano sviluppato resistenza a un virus sono riusciti a passare alla loro progenie l’immunità acquisita per diverse generazioni consecutive”, ha riportato l’autore principale dello studio, Oded Rechavi, biochimico e biofisico molecolare al Medical Center. “L’immunità è stata trasferita sottoforma di piccoli agenti virus-repressivi, detti viRna, che funzionano indipendentemente dal genoma dell’organismo”.
Nella versione pre-darwiniana della teoria dell’evoluzione, il francese Jean-Baptiste Lamarck propose agli inizi del XIX secolo la teoria secondo cui le specie si evolvono quando gli individui si adattano all’ambiente e trasmettono ai loro discendenti i caratteri che hanno acquisito o di cui hanno fatto più uso, mentre si perdono quelli inutilizzati. Per esempio, le giraffe avrebbero sviluppato colli allungati grazie allo sforzo protratto nel tempo di raggiungere le foglie sui rami più alti degli alberi, che non erano raggiunti da altri animali, e questo vantaggio sarebbe poi stato trasmesso alle generazioni successive.
Al contrario, Charles Darwin teorizzò in seguito che a guidare l’evoluzione delle specie era la selezione naturale di variazioni, occorse casualmente, le quali offrivano a un organismo un vantaggio competitivo, a guidare l’evoluzione delle specie. Nel caso della giraffa, individui che si trovavano ad avere colli leggermente più lunghi avevano maggiori probabilità di procurarsi il cibo, e quindi riuscivano ad avere più figli. La successiva scoperta della genetica dell’ereditarietà ha supportato la teoria di Darwin, e le idee di Lamarck hanno conquistato un posto d’onore nelle introduzioni ai manuali di biologia, tra le teorie screditate.
Però da un ventennio, in particolare dai lavori sull’Rna interference – un processo che le cellule usano per disattivare specifici geni – nei nematodi Caenorhabditis elegans pubblicati nel 1998 da Andrew Fire e Craig Mello, premio Nobel per la medicina nel 2006, si sa che le esperienze di un genitore a volte hanno effetti nei discendenti. “L’esempio classico di questo tipo di ereditarietà è la carestia olandese durante la seconda guerra mondiale”, afferma Rechavi. “Madri denutrite che hanno partorito durante la carestia hanno dato alla luce bambini più suscettibili a obesità e altri disordini metabolici, e queste caratteristiche si sono poi trasmesse ai nipoti”. Altri esperimenti sono arrivati a risultati simili, incluso uno studio recente sui ratti, che ha mostrato che da genitori che prediligono diete prolungate ad alto contenuto di grassi hanno discendenti obesi. Esempi analoghi sono emersi in altri ambiti.
L ’ereditarietà lamarckiana è rimasta una teoria controversa, di cui nessuno è riuscito a descrivere i meccanismi biologici plausibili. Oliver Hobert, che ha coordinato lo studio aveva ipotizzato che l’ Rna interference usata dagli organismi per disinnescare la replicazione di virus e altri parassiti del genoma venisse ‘memorizzata’ in piccole molecole di Rna poi passate alle generazioni successive nelle cellule somatiche. Così è avvenuto nei nematodi dell’esperimento, infatti. “A volte, conviene che un gene non sia espresso”, spiega Hobert. “ Nell a modalità classica, darwiniana, ciò accade attraverso una mutazione, sicché il gene è inattivato o in ogni cellula o in tipi cellulari specifici nelle successive generazioni. Ma si possono anche immaginare scenari in cui sia più vantaggioso per una specie conservare il gene tale quale e trasmettere i mezzi per inattivarlo quando si presentano minacce precise”.
I discendenti sono stati provvisti di un proprio farmaco da usare in caso di bisogno, insomma. Le implicazioni terapeutiche di questa scoperta sono ancora molto distanti nel tempo, precisa Rechavi. “Gli elementi alla base del meccanismo dell’Rna interference esistono nel regno animale, esseri umani inclusi. I vermi hanno una componente extra, che dà loro una risposta molto più forte da parte dell’Rna interference. In teoria, se quella componente potesse essere incorporata negli esseri umani, allora forse potremmo migliorare il nostro sistema immunitario e anche quello dei nostri figli”.