CRONACA – In un film del 2004, Eternal sunshine of the spotless mind, tradotto in italiano con l’orrido titolo “Se mi lasci ti cancello”, la protagonista ricorreva a una clinica un po’ particolare per farsi cancellare dalla memoria una precedente storia d’amore. La possibilità di cancellare dei ricordi dalla mente di una persona è meno fantascientifica di quanto sembri: alla luce di un recente studio di un’università canadese, sembra che si sia arrivati a cancellare dai neuroni le tracce lasciate da eventi dolorosi precedenti, e che influiscono sulla percezione del dolore.
Un gruppo di ricercatori guidato dal neuroscienziato Terence Coderre della McGill University di Montréal, in Canada, sembra aver trovato la chiave per capire come i ricordi del dolore siano immagazzinati nel cervello (per il momento quello dei roditori, che hanno fatto da cavia per gli esperimenti). Non solo: i ricercatori hanno anche suggerito un modo per cancellare questi ricordi, permettendo così di attenuare il dolore cronico. Lo studio è stato pubblicato questa settimana sulla rivista Molecular Pain.
È noto da tempo che il sistema nervoso centrale “ricorda” le esperienze dolorose, e che queste lasciano nella memoria una traccia del dolore provato: quando si prova un nuovo stimolo sensoriale, la traccia di questo ricordo doloroso nel cervello aumenta la sensazione del dolore, cosicché anche un leggero contatto fisico può essere percepito come straziante.
“Forse il miglior esempio di questo tipo di tracce si trova nella sindrome dell’arto fantasma“, suggerisce Coderre. “I pazienti possono aver subìto l’amputazione di un arto a causa di una cancrena, e poiché provavano dolore all’arto prima dell’amputazione, anche dopo l’operazione continuano a provarne nella zona dell’arto mancante (non ci si riferisce al dolore post-operatorio, NdR). Ciò avviene perché il cervello ricorda il dolore. In effetti, ci sono prove che ogni dolore che duri più di qualche minuto lascia una traccia nel sistema nervoso”. È questo ricordo del dolore, che esiste al livello neuronale, a essere critico per lo sviluppo del dolore cronico. Tuttavia, finora, non si sapeva come questi ricordi del dolore fossero immagazzinati al livello dei neuroni.
Studi recenti hanno mostrato che una protein chinasi (la PKMzeta) ha un ruolo cruciale nella formazione e nella conservazione della memoria, attraverso un rafforzamento delle connessioni tra neuroni. Ora, Coderre e colleghi hanno scoperto che questa chinasi è anche la chiave per capire come i ricordi del dolore siano immagazzinati nei neuroni, e sono riusciti a mostrare che dopo una stimolazione dolorosa, il livello della chinasi aumenta costantemente nel sistema nervoso centrale.
I ricercatori hanno anche scoperto che, bloccando l’attività della chinasi al livello neuronale, si riesce a diminuire l’ipersensibilità al dolore che i neuroni sviluppavano dopo che la pelle del roditore era stata irritata con della capsaicina, il principio attivo del peperoncino. Inoltre, si è visto che, cancellando la traccia della memoria del dolore, se ne riduce la costanza, oltre a riportare a livelli normali la sensibilità al contatto con la sostanza.
Il gruppo di Coderre è convinto che, sviluppando questo studio, si possa arrivare a concepire modi di influenzare l’attività della PKMzeta, con effetti significativi per i pazienti che soffrono di dolori cronici. “Molte antidolorifici agiscono sul dolore al livello del sistema periferico, riducendo l’infiammazione, o attivando sistemi di analgesia (stato in cui non si prova dolore) nel cervello per ridurre la sensazione dolorosa”, afferma Coderre. “Ora invece, per la prima volta, potremo creare medicine dirette alla traccia della memoria del dolore, come modalità per ridurre l’ipersensibilità al dolore stesso. Siamo convinti che questa nuova strada possa dare speranza ai malati di dolori cronici”.
Crediti immagine: Genista (CC)