Sono empatico perché ricordo o ricordo perché sono empatico?
Quando un amico si rompe una gamba, la nostra reazione dipende dal fatto che è successo anche a noi? Intuitivamente risponderemmo di sì ma studi su persone con problemi di memoria potrebbero mettere in discussione questa teoria.
L’empatia è la capacità di condividere le esperienze emotive degli altri e di capire i loro stati interiori.
Alcune teorie suggeriscono che riusciamo a essere tanto più empatici con le persone quanto più riusciamo a simulare dentro di noi il loro stato emotivo e che ciò potrebbe essere più facile se abbiamo già vissuto un’esperienza simile nel nostro passato. Federica Meconi è all’Università di Brimingham per studiare la relazione tra memoria autobiografica ed empatia. Con la sua ricerca, Meconi vuole capire se la memoria a lungo termine è un elemento cruciale nella nostra capacità di interagire con le persone che incontriamo.
Nome: Federica Meconi
Età: 34 anni
Nata a: Roma
Vivo a: Birmingham (Regno Unito)
Dottorato in: scienze cognitive (Padova)
Ricerca: Riattivazione di memorie autobiografiche in un processo di empatia
Istituto: School of Psychology, University of Birmingham
Interessi: danza, psicologia clinica
Di Birmingham mi piace: il fervore musicale e i concerti live
Di Birmingham non mi piace: la difficoltà delle persone di relazionarsi tra loro
Pensiero: Complex systems do not forget their initial conditions: they carry their history on their backs. (Ilya Prigogine)
Quanto contano le esperienze passate per capire la prospettiva di un’altra persona?
Ci sono diverse ipotesi al riguardo. Può essere intuitivo pensare che, se condividiamo un certo tipo di esperienza con qualcuno che la sta vivendo in prima persona, siamo molto più bravi a capire come l’altro si sente. In pratica, recuperando dalla memoria un’esperienza diretta, possiamo sentirci più vicini, avere un’idea più chiara e soprattutto corretta di ciò che l’altro prova: in sostanza essere più empatici.
Questo però pone alcune questioni: una persona con capacità mnemoniche alterate non può provare empatia? E se pensiamo a chi svolge un’attività di aiuto (psicoterapeuta, operatore sociale), ciò significa che se non ha avuto la stessa esperienza di un “utente” non può essere efficace nella sua azione di aiuto? D’altra parte, non è che per essere un bravo psicoterapeuta bisogna aver provato tutto il range di esperienze umane. Ecco, questo è il nodo che manca e con i miei studi cerco appunto di capire la natura della relazione tra memoria autobiografica e capacità empatiche.
Come analizzi la relazione tra empatia e memoria?
Sto conducendo due esperimenti, uno con pazienti amnesici e uno con un gruppo di persone sane. L’amnesia è un disturbo della memoria focale che non necessariamente porta con sé problemi cognitivi più generalizzati; in particolare, mi occupo dell’amnesia che prevede un danno focalizzato nella capacità di accedere in modo cosciente ai proprio ricordi. L’idea è vedere se soggetti con amnesia, pur avendo un danno nella memoria autobiografica, riescono a fare comunque un buon compito di empatia.
Il compito di empatia che usiamo consiste nel sottoporre ai soggetti delle immagini di volti rappresentati da una frase che descrive un contesto di dolore fisico. È importante che sia un tipo di dolore unico, cioè difficile da dimenticare almeno per un soggetto con capacità mnemoniche intatte; un dolore indipendente dal genere del partecipante (quindi non quello del parto o mestruale) e che non riguardi i sentimenti.
Un altro aspetto cruciale è mostrare contesti che descrivono esperienze effettivamente accadute ai partecipanti. In questo caso ci affidiamo ai racconti dei familiari.
Che cosa valutate?
La domanda sperimentale che facciamo è: quanto senti di entrare in empatia con la persona rappresentata? In letteratura è stato dimostrato che semplicemente chiedere quello che la persona prova è un modo abbastanza efficace per analizzare la questione. Ovviamente bisogna prima aver definito la parola empatia, un concetto che non tutti sanno spiegare e ciascuno interpreta a modo suo. Empatia è la capacità di condividere le emozioni dell’altro, nel senso che davanti a una persona triste l’empatia permette di essere tristi con la persona e non per la persona (che è compassione).
La performance dei pazienti viene registrata con un elettroencefalogramma, grazie al quale cerchiamo di ritrovare il pattern di attività elettrica cerebrale che riflette il recupero di un certo tipo di memoria. Nei pazienti amnesici ci sono delle difficoltà tecniche dovute al fatto che non possono accedere coscientemente alla memoria, ma ciò non vuol dire che i ricordi non siano in qualche modo sopravvissuti dentro di loro.
Mi parlavi di due esperimenti, qual è il secondo?
L’altro studio coinvolge persone sane, in cui cerchiamo di creare una lesione virtuale temporanea del tessuto cerebrale per individuare un nesso causale tra il funzionamento di una particolare area del cervello e la presenza/assenza di capacità empatica. I soggetti sani vengono sottoposti agli stessi compiti di empatia dei pazienti amnesici: durante lo svolgimento usiamo la stimolazione magnetica transcranica (TMS) per cercare di ridurre temporaneamente il funzionamento dei circuiti neuronali coinvolti nella memoria autobiografica.
Con questo esperimento vediamo innanzitutto se l’area stimolata è effettivamente responsabile dell’attivazione della memoria autobiografica. Inoltre, se è vero che questa riattivazione è necessaria per provare empatia, inibendo l’area target con la TMS dovremmo avere una riduzione dell’empatia. Non è detto che sia così, è quello che ci domandiamo, ossia se davvero in assenza di memorie non possiamo empatizzare.
Quali sono le prospettive future della tua ricerca?
Vorrei capire in quali contesti l’empatia può essere deleteria: per esempio, una volta che ci troviamo davanti a un’esperienza che abbiamo già vissuto, in quali casi ciò ci può impedire di capire come l’altro si sente? Per esempio, se incontro uno con un piede rotto ma è una persona che non prova dolore, il fatto che io in passato abbia vissuto la stessa esperienza in questo caso specifico non è d’aiuto.
A questo proposito, qualche mese fa ho coinvolto in un’attività di public engagement il Poliambulatorio di Marghera del Programma Italia di Emergency. L’idea era condividere le mie ricerche e riflettere sulle attività quotidiane degli operatori: è in questi contesti che le informazioni emerse durante i miei esperimenti possono essere concretamente d’aiuto alle persone che lavorano sul campo.
Leggi anche: Che cos’è l’empatia?
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