AMBIENTE

S.O.S. sta per Save Our Seas

AMBIENTE – A Singapore, il settimanale The Economist ospitava dal 22 al 24 febbraio il Vertice mondiale sugli oceani che ha fatto un bilancio delle riserve ittiche, peggiore del previsto, della salute del mari, sempre più cagionevole, e dei possibili rimedi. Ci sono, ma quelli efficaci sono rari e difficili da somministrare. La buona notizia è che i principali interventi sono in video sul sito della conferenza.

Gli esseri umani potevano trattare il mare come una risorsa inesauribile quando erano in pochi. Un mondo di 6,7 miliardi di persone, di 9 miliardi nel 2050, non se lo più più permettere

recitava l’invito mandato a ottobre. Oggi siamo ufficialmente in 7 miliardi, e non ce lo possiamo permettere da quasi trent’anni.

Secondo stime della Banca Mondiale, dal 1974 al 2010 lo sfruttamento insostenibile delle risorse ittiche ha fatto perdere 2,2 milioni di miliardi di dollari in termini di cibo e di reddito. Un miliardo di persone dipende dalle creature marine per le proteine animali e centinaia di milioni per guadagnare di che vivere;  pratiche sostenibili ridurrebbero le perditi di 50 miliardi all’anno.

Quanto pesce resta e quanto se ne può prelevare una questione controversa. Le cifre della FAO sembrano pessimiste, eppure si basano su dati, notoriamente ottimisti,  forniti da un centinaio di “pescherie industriali” europee e americane. Chris Costello e Steve Gaines, dell’università della California a Santa Barbara, hanno ricalcolato le riserve usando i dati di 7.000 pescherie, responsabili per circa l’80% del prelievo annuo totale. Dei territori di pesca, dicono, solo il 2% è “collassato” e avrà bisogno di molti decenni per rigenerarsi. L’85% è “sovrasfruttato”, “depauperato” o “degradato”. Quelli che si sono ripresi dopo l’imposizione di regole e limiti sono in sostanza due: la fascia costiera di raccolta del “loco” o “zampa di burro” (Concholepas concholepas) in Cile, quasi estinto dagli amatori di sushi; e i banchi di merluzzo bianco (Gadus morhua) tornati al largo dell’Islanda. Segnali positivi arrivano da alcune cooperative in America centrale e da esperimenti in corso sulla costa nord-est degli Stati Uniti. Sono però dati “molto preliminari” sulla co-gestione dei diritti esclusivi di pesca concessi dal governo a gruppi locali di pescatori.

Il presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick ha concluso l’incontro di Singapore lanciando un S.O.S. ai governi, alle ONG e altre associazioni interessate. Se formassero una ro una coalizione, la Banca Mondiale potrebbe sostenerla con 1,5 miliardi di dollari e accrescere le riserve marine  dal 2 al 12% della superficie oceanica. Nonostante sia uno strenuo difensore del libero mercato, l’Economist è dello stesso parere, ma ricorda che aumentano sia l’inquinamento dovuto agli effluenti dell’agricoltura che l’acidificazione dovuto alle emissioni di CO2.

Né l’uno né l’altra si fermano davanti ai confini di una riserva. A quanto si sa, nel Mediterraneo non lo fanno neppure i pescherecci.

Crediti immagine: World Ocean Summit

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