MRPOD – È il 1961 quando l’Ilva, una grande acciaieria, si insedia a Taranto. Per i cittadini è un bacino occupazionale importante, lo è sempre stato in un sud afflitto dall’eterno problema della disoccupazione. Per l’ambiente e la salute dei cittadini però è una mannaia. Lo si sa da sempre ma è solo nell’ultimo decennio che la coscienza ambientalista, e non solo, delle persone ha puntato l’attenzione sull’industria pesante, specie se alle porte della città, e l’Ilva è uno degli esempi più paradigmatici. Circa un mese fa a seguito di una perizia presentata dal Gip Patrizia Todisco, dove si evidenziano una serie di danni ambientali e sulla salute pubblica causati dall’attività dell’azienda, il sindaco emette un’ordinanza che ingiunge a Ilva di tagliare drasticamente le emissioni. Frattanto è in corso un’indagine preliminare che potrebbe portare Emilio e Nicola Riva (ex e attuale Ceo dell’azienda) sotto processo per “catastrofe naturale”, e si sta anche discutendo di aprire un tavolo nazionale per valutare la vicenda (a quanti è venuta in mente la sentenza di poco più di un mese fa sull’Eternit di Casalmonferrato?).
Come andrà a finire? Abbiamo chiesto a Giorgio Assennato, presidente di ARPA Puglia, cosa succederà allo scadere del mese di ultimatum del sindaco di Taranto, e abbiamo avuto una sorpresa. Abbiamo poi chiesto anche un parere a Lunetta Franco, presidente del circolo di Taranto di Legambiente