POLITICA – Qual è l’obiettivo statutario delle fondazioni che finanziano la ricerca? Se lo chiedete a qualsiasi istituzione di questo tipo la risposta sarà più o meno riassumibile in: “stimolare la diffusione del sapere”. La realtà è diversa e ovviamente più complessa, ma l’ostacolo maggiore per un’effettiva circolazione del sapere scientifico è di tipo economico: di fatto i risultati delle ricerche vengono pubblicati spesso su riviste che costano un sacco di soldi.
Come dite? Esiste l’open access? Certo, ma volete mettere il lustro di pubblicare su una rivista prestigiosa a pagamento? La Wellcome Trust, la seconda fondazione al mondo per mole di finanziamenti erogati nel campo della ricerca medica (seicento milioni di sterline all’anno, oltre settecentocinquanta milioni di euro) ha detto basta. D’ora in poi i ricercatori che vogliono avere i soldi dall’istituzione inglese dovranno rendere liberamente disponibili al pubblico i risultati dei loro lavori.
Il direttore, Mark Walport, è da sempre uno strenuo difensore dell’open access, e da tempo la sua fondazione sta andando in questa direzione. Tuttavia le cose non stanno andando come dovrebbero, almeno secondo Walport, che al Guardian ha dichiarato: “Nonostante la nostra politica sull’open access sia stata messa in atto da oltre cinque anni, quasi la metà delle nostre pubblicazioni sono a pagamento. Questo è semplicemente inaccettabile, e quindi con effetto immediato ci sarà un inasprimento delle nostre direttive”.
In effetti è dal 2006 che la Wellcome Trust stimola i ricercatori a inserire gratuitamente sul database UK PubMed i paper entro sei mesi dalla data di pubblicazione. La fondazione britannica prevede anche il pagamento dei costi di pubblicazione sulle riviste accademiche, permettendo così ai ricercatori di scegliere una dei due modelli open access: quello “gold” e quello “green”. Seguendo il primo i ricercatori pagano in anticipo una quota alle riviste per mettere online gratuitamente i paper da subito (vedi PLoS). L’altro prevede invece l’archiviazione autonoma da parte dell’autore su qualche sito a libero accesso, di solito dopo un periodo di embargo. Il problema è che solo il 55% delle pubblicazioni sostenute di fondi Wellcome Trust sono liberi.
Ora però Walport si è stufato. Ha scritto una lettera infuocata ai vertici dell’istituzione chiedendo che tutti i paper associati ai loro finanziamenti rispettino la nuova politica: la Wellcome Trust si riserva di trattenere una parte dei contributi a chi non pubblica liberamente la ricerca, e il paper non sarà conteggiato nel calcolo delle successive assegnazioni di fondi.
Chissà se un’azione del genere darà i frutti sperati, ma una cosa è certa: in tempi di crisi l’istituzione risparmierà un bel po’ di quattrini.