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Rischio trivella selvaggia

AMBIENTE – La caccia all’oro nero nazionale continua. Dopo l’autorizzazione ministeriale firmata da Corrado Clini che permetterà all’azienda irlandese Petroceltic le trivellazioni al largo delle Isole Tremiti, lo sviluppo degli idrocarburi nazionali prosegue nella Strategia energetica nazionale. Stando alle bozze che circolano in questi giorni ci sono ben 5 zone individuate per le ricerca ed eventuale estrazione del petrolio italiano: val Padana, l’Alto Adriatico, l’Abruzzo, la Basilicata e l’off-shore Ibleo. A essere più a rischio sono le acque marine.
Tra le piattaforme già operative e le trivelle in arrivo, la superficie di mare italiano coinvolta è superiore alla Sardegna. A dirlo è il dossier “Trivella selvaggia” di Legambiente, elaborato a partire dai dati del ministero delle Sviluppo.
Alle nove trivelle già operative in mare potrebbero ben presto aggiungersene circa 70. A oggi 19 permessi di ricerca in mare sono stati rilasciati per una superficie complessiva di oltre 10mila chilometri quadrati, mentre sono ancora in attesa di valutazione 41 richieste di ricerca. Tra la aree più gettonate ci sono soprattutto l’Adriatico centro meridionale, il Canale di Sicilia e il mar Ionio. Ma il gioco vale la candela? Sembrerebbe di no.
Secondo le ultime stime del ministero dello Sviluppo economico, nei nostri fondali marini ci solo 10,3 milioni di tonnellate di petrolio, che ai consumi attuali sarebbero sufficienti per il fabbisogno nazionale per appena 7 settimane.

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