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Fame

Logo CarnevaleQuesto post fa parte del VII° Carnevale della biodiversità, il cui argomento è “Ho visto cose… la biologia dei mondi fantastici”. Il Carnevale è ospitato da Livio Leoni, sul suo blog Mahengechromis, dove potete trovare anche tutti gli altri blog della “manifestazione”. 

Tutti i viventi devono mangiare. Sembra un’ovvietà, ma non è così. Nel caso degli animali la fame e, per estensione, la sete sono le pulsioni più potenti assieme a quella a riprodursi, che però si manifesta in seguito.

La fame stimola comportamenti estremi che, nel caso dell’uomo, riescono addirittura ad aggirare raziocinio ed etica: si pensi agli episodi di cannibalismo in situazioni limite, o alle storie di naufraghi che, stremati dalla sete, cedono e tentano di dissetarsi con acqua di mare.

Che siate un organismo unicellulare o pluricellulare, autocosciente o meno, animale o vegetale, cercate tutti il nutrimento. E questo vale, ovviamente, anche quando siete un organismo nato dalla fantasia.

In Crociera nell’Infinito (The Voyage of the Space Beagle, ovvio riferimento a Darwin), capolavoro Alfred Elton Van Vogt del 1950 la fame è la pulsione che dalle primissime righe sta guidando Coeurl.

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Coeurl sa che sta morendo, di fame. Sogna l’id, l’unica cosa di cui si ciba. Ricorda i suoi simili, più deboli di lui, che ha incontrato vagando su un mondo ormai sterile nel quale la sua specie è rimasta l’unica, possiamo supporre, tra i superpredatori: Coeurl non ha esitato a ucciderli succhiandone avidamente il poco id rimasto nelle carni. L’id, infatti, è il cibo ma non la preda: si trova ovunque ci sia carne viva. Quando vede atterrare la Space Beagle sul suo pianeta, intuisce immediatamente una opportunità di sopravvivenza.

Gli uomini che ne sbarcano si trovano di fronte a un animale simile a un grosso felino dotato di tentacoli sulle spalle, ma non immaginano di trovarsi di fronte a una macchina tanto intelligente quanto letale. Il “caso” vuole che si tratti di una spedizione scientifica, e che i suoi membri (esclusa la minoranza dei militare necessari a mantenere l’ordine..) siano tutti specialisti in varie discipline: che cosa ci può dire la scienza su Coeurl?

Trattandosi di un quadrupede concludono che deve essersi evoluto sul pianeta, cioè ha i mezzi per contrastare la gravità. Dimostra cautela, quindi è intelligente. Sembra poter emettere onde elettromagnetiche, quindi ha un sistema di comunicazione piuttosto avanzato, forse addirittura un linguaggio. Si tratta forse di un superstite della civiltà di cui gli scienziati hanno trovato solo le rovine?

Nonostante poi il pianeta, unico nel suo Sistema Solare, abbia un’atmosfera ricchissima di cloro, gli scienziati scopriranno, con grande sorpresa che il “gatto” tollera benissimo l’ossigeno della nave.

Ma cos’è questo id? L’equipaggio lo scoprirà a sue spese dopo aver analizzato i resti di un membro dilaniato da Coeurl: è il potassio. Il capo del dipartimento di chimica, Kent, spiega l’id di Coeurl in questo modo

You know how potassium is held by the body cell in connection with a large protein molecule, the combination providing the basis for the electrical charge of the cell. It’s fundamental to life. Usually, after death the cells release their potassium into the blood stream, making it poison-ous. I proved that some potassium is missing from Jarvey’s cells but that it did not go into the blood.

(Sapete che il potassio è trattenuto nelle cellule in associazione a una grande molecola proteica, una situazione che permette alla cellula di mantenere la sua carica elettrica. È fondamentale alla vita. Solitamente dopo la morte le cellule rilasciano il potassio nel flusso sanguigno, rendendolo velenoso. Ho scoperto che manca del potassio nelle cellule di Jarvey, ma che non si trova nel sangue)

Anche se non è chiarissimo, possiamo immaginare che Van Vogt si riferisca alla pompa sodio-potassio, una proteina che, assieme ai canali ionici, regola il gradiente elettrochimico della cellula. Interessante è che Coeurl, nella versione originaria del racconto, The Black Destroyer, pubblicato nel 1939 poi confluito nel romanzo, si cibava invece di fosforo contenuto, nel caso delle sue nuove prede, nelle ossa.

Ma solo uno a bordo della Space Beagle (ormai decollata con il suo primo, mortale, campione scientifico) ha prima intuito, e poi compreso appieno a quale minaccia sta andando incontro l’equipaggio tentando di dominare il gatto: la sua disciplina, il Connettivismo (Nexialism, nella versione originale), gli consente di risolvere i problemi integrando specializzazioni dalle diverse scienze. Qui il connettivismo si trasforma in quello che noi terrestri del XXI secolo chiamiamo, semplicemente, ecologia.

Lo scenario del pianeta è di tipo post-apocalittico, e non vi è più traccia della specie civilizzata alla quale appartengono le rovine. La guerra, condotta presumibilmente con armi atomiche, ha portato a un inverno nucleare durante il quale il Sole è stato oscurato con conseguente sterminio delle forme di vita vegetali. Hanno seguito gli erbivori, anche se alcuni superstiti, animali delle dimensioni di un cervo, sono stati avvistati, e si presume quindi che siano queste le prede, sempre più rare, dei “gatti”.

Coeurl ha un’intelligenza speculativa e manipolatrice, troppo, deduce Grosvenor, per un animale, di cui eppure conserva degli istinti. Forse un superstite di quella specie che si è autodistrutta? No, poiché è inconcepibile che una specie civilizzata (e che in particolar modo necessiti di un alimento così specifico) non abbia trovato un modo per aggirare questa limitazione trovando un modo per averne a disposizione grandi quantità: se prendiamo a modello le civiltà umane, queste cominciano proprio con pastorizia e allevamento, con la domesticazione delle specie. La razza di Coeurl è, ed è sempre stata, un predatore.

Come si spiega quell’intelligenza allora? E il fatto che, pur essendo praticamente immortale (le armi atomiche portatili si dimostrano da subito inefficaci) non abbia già preso il comando della nave?

Grosvenor suppone che la specie sia frutto di esperimenti, solo così si spiegherebbero queste dissonanze, ed è la cosa che spaventa di più il connettivista: nemmeno l’animale sa precisamente quale potere possiede. I pensieri di Coeurl a questo punto della narrazione hanno già confermato l’analisi di Grosvenor. Ora che la straziante fame è stata soddisfatta la sua contorta razionalità emerge in tutta la sua potenza: ci sono altri suoi simili sul suo pianeta natale, con una nave spaziale a disposizione potrebbero dominare l’Universo.
Ma una volta accertata la superiorità strategica è facile per Grosvenor escogitare un piano per disfarsi del gatto, che qui non riveliamo.

Quello che è sconcertante del racconto di Van Vogt, nonostante qualche ingenuità evoluzionistica (ma ricordiamo che siamo nel ’39), ad esempio il fatto che Coeurl sia morfologicamente così simile a un felino, come se sia quasi scontato che anche su altri mondi le forme viventi debbano somigliare a quelle a cui siamo abituati (e lo stesso vale nell’identificazione di potassio e fosforo come elementi universalmente fondamentali), è appunto l’enfasi sulla ricerca del cibo, un tema che non può davvero che essere universale.

Possiamo immaginare gli esseri più strani, ma se si dimentica il piccolo particolare che hanno bisogno di un carburante, allora ci troviamo tra le mani semplici marionette. E quando Grosvenor descrive il ciclo sole, vegetali, erbivori, predatori (Coeurl), se pur in una versione estremamente seplificata fa di più di riassumere una catenq alimentare, sta descrivendo un cardine dell’ecologia, cioé il trasferimento di energia e materia attraverso i livelli trofici.
Senza questi flussi è inutile parlare di vita.
Rispondendo a chi, come il rissoso chimico Kent, vorrebbe tornare sul pianeta in cerca di vendetta, Grosvenor, le cui opinioni hanno acquisito un po’ più di peso vincendo lo scetticismo degli altri scienziati riguardo alla giovane età, sia propria che della sua scienza, conclude:

Non dobbiamo dimenticare che se il nostro gatto ci ha attaccati, lo ha fatto solo per il suo disperato bisogno di cibo. È evidente che le risorse del suo pianeta non potranno mantenere in vita la specie ancora per molto tempo. Gli altri esemplari non sanno nemmeno della nostra esistenza, e quindi non costituiscono una minaccia. Perciò penso sia inutile andare a sterminarli: perché non lasciare semplicemente che muoiano di fame?

CREDITI IMMAGINE: Karel Thole, Mondadori Urania (1979) via Mondourania

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Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, mi sono formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrivo abitualmente sull’Aula di Scienze Zanichelli, Wired.it, OggiScienza e collaboro con Pikaia, il portale italiano dell’evoluzione. Ho scritto col pilota di rover marziani Paolo Bellutta il libro di divulgazione "Autisti marziani" (Zanichelli, 2014). Su twitter sono @Radioprozac