AMBIENTE – “Risponderemo alla minaccia del cambiamento climatico, sapendo che un fallimento significherebbe tradire i nostri figli e le generazioni future”. Sono passati quasi due mesi da quando Obama ha pronunciato queste parole, era il discorso per la rielezione alla Casa Bianca.
Il secondo mandato potrebbe essere finalmente favorevole al presidente americano per far partire la tanto attesa green revolution anche se è proprio di questi giorni la notizia delle dimissioni del suo segretario per l’energia, Steve Chu.
In ogni caso, non dovendo più competere per un’altra elezione, Obama potrebbe non tenere più conto dei finanziamenti e dei voti delle lobby contrarie alla causa ambientalista e potrebbe essere più libero di prendere decisioni strategiche, affiancando così l’Europa nella lotta globale ai cambiamenti climatici. La frase “the best is yet to come” (Il meglio deve ancora venire) fa ben sperare ma a questo punto serve davvero una rivoluzione politica e culturale per fare degli Stati Uniti una nazione attenta alla salvaguardia dell’ambiente e che, secondo il primo cittadino americano, dovrebbe addirittura guidare a livello mondiale la lotta al climate change.
A questo punto sono tante e diverse le sfide green che attendono gli Stati Uniti come la ratifica del Protocollo di Kyoto e l’avvio di una politica energetica vera a favore delle rinnovabili, una rivoluzione nel settore dell’edilizia sostenibile, una svolta nella politica del cibo, senza dimenticare una diversa progettazione urbana a favore della mobilità sostenibile e tanto altro ancora.
Ma partiamo dal settore dei trasporti. L’International Energy Agency (IEA) prevede che entro il 2050, l’attuale parco macchine mondiale aumenterà del 250-375% mentre i trasporti merci aumenteranno del 75-100%. Entro il 2050, nei paesi in via di sviluppo, le emissioni di anidride carbonica aumenteranno del 300% con conseguenze devastanti per la salute dei cittadini e per il surriscaldamento del pianeta. La crescita vertiginosa del sistema dei trasporti riguarderà in particolare i paesi in via di sviluppo ma saranno Europa e Stati Uniti ad avere un ruolo determinante, nel bene o nel male.
Come denuncia lo State of the World 2012 , in questo momento non esiste un quadro normativo o una strategia chiara per la mobilità sostenibile a livello internazionale. Nel Protocollo di Kyoto gli strumenti finanziari sono stati pensati principalmente per il settore energetico, dove il conteggio delle emissioni dei gas a effetto serra, richiede meno dati per i trasporti rispetto il settore industriale, con un conseguente sottofinanziamento dei progetti per la mobilità sostenibile. E così, secondo i dati dell’Institute for Transportation and Development Policy (ITDP), anche se il settore dei trasporti risulta responsabile del 27% delle emissioni di gas a effetto serra, ha ottenuto meno del 10% dei fondi destinati alla mitigazione dei cambiamenti climatici. I trasporti non figurano nemmeno tra i Millennium Development Goals adottati dalle Nazioni Unite nel 2000 e secondo Walter Hook, amministratore delegato dell’ITDP, questa mancanza lascia grande libertà di manovra ai governi di intervenire nel settore senza una guida chiara, il che porta a interventi generici senza obiettivi specifici e comuni a livello internazionale.
In questo modo, dagli anni settanta, i livelli di motorizazione sono cresciuti incessantemente. Se nel 1990, a livello mondiale c’erano 500 milioni di auto, oggi siamo a quota 800 milioni e secondo l’IEA nel 2050 potremmo arrivare fino a 3 miliardi. Quindi, numeri alla mano, per ogni automobile bloccata nel traffico oggi, ne corrisponderanno tre o quattro nel 2050. Come se non bastasse, sebbene l’efficienza dei carburanti sia migliorata nel tempo, è aumentato il peso medio dei veicoli e le distanze percorse, portando a un continuo aumento del consumo di energia con i relativi costi sociali (morti per incidenti, inquinamento acustico e dell’aria, costi per la congestione del traffico, nuove infrastrutture e tempo perso).
In particolare, nelle metropoli più affollate i trasporti sono responsabili dell’80% degli inquinanti atmosferici dannosi per la salute comprese le polveri sottili, monossido di carbonio, composti organici volatili, piombo, protossido d’azoto e anidride solforosa. Secondo le stime dell’ United States Department of Transportation, nel 1999 il totale dei costi sociali associato all’uso dei trasporti negli USA sfiorava i 300 miliardi di dollari l’anno.
In Europa, in base ai dati del Night Noise Guideline for Europe 2009, i costi dovuti all’inquinamento acustico legato ai trasporti arriverebbero allo 0,5% del Pil europeo.
Ancora, il Texas Department of Transportation stima che nel 2010 i pendolari delle 439 aree metropolitane statunitensi abbiano accumulato 4,8 miliardi di ore di ritardo a causa del traffico, che corrisponde a uno spreco di 7,18 miliardi di litri di carburante per un costo totale di 101 miliardi di dollari.
Una situazione complessa e alquanto problematica. Ma a questo punto, qual è la strategia della Casa Bianca?
Per adesso rimane valido il piano Fuel Economy Standards (FES) del 2011, secondo il quale, entro il 2025, il parco macchine statunitense dovrà raggiungere le performace di 54,5 mpg (miglia con un gallone di benzina) equivalente a circa 23 km con un litro.
Secondo la Casa Bianca i nuovi standard permetteranno un risparmio medio di oltre 8.000 dollari di carburante per ogni veicolo entro il 2025. La proposta ridurrà il consumo di petrolio degli Stati Uniti di circa 12 miliardi di barili e farà diminuire l’inquinamento di oltre 6 miliardi di tonnellate di gas serra per tutta la durata del programma.
In realtà gli obiettivi di partenza del FES erano molto più ambiziosi dato che il target per il risparmio di carburante era stato fissato a 62 miglia per gallone, proposta immediatamente bocciata dalle lobbyng degli industriali dell’auto.
Inoltre, il piano FES grazie alle pressioni degli industriali del settore (Ford, GM, Chrysler Group, BMW, Honda, Hyundai, Jaguar, Land Rover, Kia, Mazda, Mitsubishi, Nissan, Toyota e Volvo), prevede una revisione degli standard a metà percorso, a partire dal 2018, al fine di riconsiderare l’impatto sui costi dei produttori, della tecnologia e delle vendite. Come dire, se le vendite non andranno bene più di qualcosa potrebbe cambiare. Ma dalla Casa Bianca hanno fatto sapere che dal 2025 il target di 54,5 mpg passerà sicuramente a 62 mpg per le autovetture e a 44 mpg per i veicoli commerciali leggeri.
Altro obiettivo dell’amministrazione Obama è un programma di incentivi per veicoli elettrici plug-in, per ibridi elettrici con celle a combustibile, per i sistemi di tecnologia avanzata, come i propulsori ibridi e i crediti per le tecnologie che riducano le emissioni di anidride carbonica e che migliorino il risparmio di carburante.
Un piano quello di Obama che se si realizzerà, sarà sicuramente una rivoluzione per gli Stati Uniti ma sembra ancora troppo poco per una nazione che si candida a leader nella green economy.
Il sistema mondiale dei trasporti è da mettere in ordine soprattutto a livello legislativo e da ripensare a livello tecnologico. Come sostiene Roberto Rizzo, autore di Guida all’auto ecologica – “ancora oggi il 95% delle auto in circolazione funziona a benzina e a diesel con una tecnologia di cent’anni fa e poco efficiente. L’auto elettrica è sicuramente una svolta e lo sarà ancora di più se verrà alimentata da corrente elettrica prodotta da fonti rinnovabili ma non basta. Bisogna ripensare completamente l’idea di mobilità. Le nostre città vanno progettate in modo diverso affinché l’auto non sia la prima alternativa ma l’ultima lasciando spazio ai percorsi pedonali, alle piste ciclabili e ai trasporti pubblici”. Per fortuna “il meglio deve ancora venire”, parola di Barack Obama.