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No more roadkill

640px-Cliff_Swallow_BuilderAMBIENTE – Ogni anno centinaia di milioni di uccelli in tutto il mondo muoiono in seguito a collisioni con le automobili. Questa minaccia è tanto più accentuata quanto più le specie si trovano nelle vicinanze degli ambienti antropizzati e diventa letale per quelle che nidificano nei pressi delle strade.

D’altra parte, la teoria della selezione naturale prevede che quando una popolazione è sottoposta ad una forte pressione selettiva, nel corso delle generazioni dovrebbe adattarsi sempre meglio alle condizioni ambientali. Nel caso degli uccelli, ci si attende dunque che, mediante la controselezione degli individui ‘meno adatti’, quindi coloro i quali non sono in grado di evitare la collisione con i veicoli, le probabilità di morire in questo modo si riducano nel corso del tempo. Almeno fino ad oggi, però, non esistevano serie di dati nelle medesime aree di studio in grado di dimostrare l’esistenza di un trend in questo senso.

Uno studio pubblicato sull’ultimo numero di Current Biology mostra proprio questa tendenza in una popolazione di rondine rupestre americana (Petrochelidon pyrrhonota), monitorata dal 1982 in Nebraska. Questa specie è nota nidificare in colonie numerose localizzate su ponti e cavalcavia a ridosso di strade molto trafficate (immagine) e risulta pertanto particolarmente soggetta alle collisioni con i veicoli. Oltre a censire le coppie nidificanti, nel corso del tempo i ricercatori hanno anche collezionato gli individui morti in questo modo. Nell’intervallo di tempo trentennale, corrispondente a 30 generazioni, il numero di questi ultimi si è ridotto in maniera drastica, nonostante la dimensione della popolazione oggetto di studio sia aumentata. La popolazione si sta dunque velocemente adattando alla forte pressione selettiva esercitata dall’intenso traffico.

Lo studio identifica anche un possibile meccanismo alla base di questo adattamento in atto: gli individui morti in seguito ad impatti con le auto hanno ali di dimensioni significativamente maggiori rispetto a quelli sopravvissuti (apertura alare di 112 mm contro 106 mm). Inoltre, la popolazione attuale presenta un’apertura alare in media inferiore a quella registrata all’inizio della serie storica, ad indicare un’effettiva selezione negativa nei confronti degli individui di grosse dimensioni. E’ probabile, concludono i ricercatori, che le ali troppo lunghe non consentano una rapidità di manovra in volo tale da evitare le automobili sfreccianti, fungendo quindi da potente handicap per i possessori che risultano quindi più soggetti a mortalità.

Crediti immagine: Cliff Swallon Builder, Wikimedia Commons

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Andrea Romano
Biologo e giornalista scientifico, lavora come ecologo all'Università degli Studi di Milano, dove studia il comportamento animale. Scrive di animali, natura ed evoluzione anche su Le Scienze e Focus D&R. Dal 2008, è caporedattore di Pikaia - portale dell'evoluzione