CRONACA – A prima vista, l’Istituto di fisiologia generale dell’Università di Pavia non fa certo pensare alla grande innovazione tecnologica. L’edificio è vecchiotto: l’architettura anni quaranta si rivela negli spazi un po’ angusti, nelle strette porte a vetri, nelle piastrelline scure del pavimento. Eppure, mai lasciarsi ingannare dalle apparenze. Perché proprio qui, presso il Dipartimento di scienze del sistema nervoso e del comportamento, si trovano strumenti e competenze così avanzati da aver permesso all’Unità di ricerca diretta da Egidio DAngelo di entrare a far parte del prossimo super progetto di Big Science, dopo quello sul genoma umano e il lavoro di LHC: Human Brain Project (progetto cervello umano). L’obiettivo è decisamente ambizioso: costruire un cervello digitale, una simulazione completa delle nostre attività cerebrali, operativa dentro un supercomputer di nuovissima generazione. “Un punto di partenza, per studiare meglio le tante proprietà di questo organo che ancora rimangono sconosciute, ma anche le sue malattie, e per indirizzare le prospettive terapeutiche” spiega D’Angelo, che dirige anche il Brain Connectivity Center della Fondazione Mondino, sempre a Pavia .
Human Brain Project, HBP per gli amici, è stato da poco nominato come uno dei progetti bandiera della Commissione europea (l’altro è quello sul grafene), con un finanziamento di 1 miliardo di euro per 10 anni. Motore dell’iniziativa è stato l’EFLP (il politecnico) di Losanna, che oggi coordina 87 unità di ricerca sparse in tutto il mondo: in Italia, oltre a quella pavese, se ne contano altre 5.
Ma come si lavora esattamente per arrivare all’obiettivo? Per capirlo, conviene fare un passo indietro, concentrandoci sulla struttura del nostro cervello: una massa di mille miliardi di neuroni in comunicazione tra di loro tramite sinapsi. Gruppi di neuroni collegati insieme costituiscono un circuito (o rete). “Il sistema nervoso, dunque, non è altro che un insieme di reti e studiarlo significa studiarne le singole componenti – i neuroni, le sinapsi, le reti – e poi il loro funzionamento collettivo” racconta D’Angelo. Nel suo laboratorio, per esempio, si studiano i principi funzionali delle cellule e delle sinapsi dei circuiti che costituiscono una particolare struttura cerebrale, il cervelletto. In particolare, si cerca di capire come vengono regolati, a livello delle membrane cellulari, i flussi di ioni che garantiscono la comunicazione elettrica tra cellule. “I modelli d’elezione sono topi e ratti, perché il loro sistema nervoso è estremamente simile al nostro”. La batteria di tecniche è vastissima: elettrofisiologia, imaging, ingegneria genetica, microscopia confocale a due fotoni.
Il lavoro, però, non si esaurisce in laboratorio. “Una volta raccolti i dati sperimentali, li usiamo per costruire modelli matematici di funzionamento delle varie strutture” spiega il fisiologo. Già, perché – sembra impossibile e invece sta proprio qui il cuore di tutto l’HBP – l’attività di un neurone può essere rappresentata attraverso un grosso sistema di equazioni differenziali che descrivono il comportamento dei suoi flussi ionici di membrana. Anzi, non solo l’attività del singolo neurone: “Possiamo costruire modelli anche per le singole sinapsi e poi mettere insieme tutto arrivando al modello di una rete”. D’Angelo afferma che questo lavoro di modellizzazione sul cervelletto è già abbastanza avanzato: dovrebbe essere pronto per la prima scadenza del progetto, fissata tra due anni e mezzo, che prevede appunto la presentazione di modelli di reti nervose finiti e funzionanti. A quel punto, si tratterà di mettere insieme il cervelletto “virtuale” con altri pezzi di cervello modellizzato, messi a punto da altre unità di ricerca, e vedere come funziona il supermodello nel complesso.
“È chiaro che stiamo parlando di modelli di dimensione gigantesca, che avranno bisogno, per essere elaborati, di un computer altrettanto “gigantesco”, che possa far girare un simile software” chiarisce D’Angelo, che però non è preoccupato dai limiti attuali di calcolo. “Un supercomputer di base c’è già, all’EFLP di Losanna: si tratta solo di migliorarlo. Piuttosto, la difficoltà tecnica più grande sta dentro i laboratori: bisogna che lì si riescano a produrre i dati e a sviluppare i modelli che servono per il software finale”.
Insomma, per un sacco di tempo abbiamo smontato il cervello pezzo per pezzo, dalla macroanatomia ai singoli geni e molecole, per capire come funzionasse ciascuna parte. Ora però è il momento di ribaltare l’approccio riduzionistico, rimettere insieme i pezzi e vedere in che modo la loro combinazione conferisce al cervello le sue straordinarie proprietà, da quelle cognitive a quelle emotive. E con un simulatore così potente in mano, sarà anche più facile andare a vedere che cosa succede quando in una rete insorge un piccolo malfunzionamento – cioè capire le basi neurali delle malattie – e avere un supporto nella fase della ricerca di nuove terapie. Per esempio, si potrà simulare un certo trattamento e capire quanto è efficace e, magari, per quali categorie di pazienti. “Attenzione, però”, precisa il ricercatore pavese. “Questo non significa che si abbandonerà del tutto l’attività sperimentale e clinica: semplicemente, avremo un potentissimo strumento in più, utile anche a indirizzare tutti gli altri sforzi di ricerca”.
E non è tutto, perché da HBP ci si aspettano grandi ricadute anche in un altro ambito, quello delle scienze computazionali. “Parliamo in particolare di neuroinformatica o ingegneria neuromorfa” spiega D’Angelo. “In breve, si tratta di tradurre il software ottenuto con i modelli in una nuova architettura hardware, con il risultato di ottenere computer che implementano funzioni del cervello umano, perché – a differenza di quanto accade con i computer attuali – sono fatti proprio come il cervello umano”.
Insomma, la posta in gioco è altissima e se l’Europa ha deciso di buttarsi, l’America non sta certo a guardare. Anche l’amministrazione di Barack Obama, infatti, ha pianificato il lancio di una Brain Activity Map, un progetto di mappatura dell’attività cerebrale con tecniche di imaging ad altissima risoluzione, che dovrebbe essere finanziato per 3 milioni di dollari nei prossimi 10-15 anni. Sarà la paura di restare indietro in un settore di punta, o il rischio di perdere “cervelli” pronti a correre in Europa per lavorare al grande progetto bandiera, di fatto questa competizione scientifica non potrà che giovare alla causa.
Immagine: © Hungarian Academy of Sciences