FUTURO – La tracheobroncomalacia è una patologia nella quale trachea e bronchi tendono a collassare, impedendo la ventilazione. Nei bebè in particolare questa condizione li pone continuamente a rischio di vita.
Era il caso di Kaiba, una bambina che un brutto giorno, a sei settimane dalla nascita, ha cominciato a manifestare i sintomi. Ogni giorno la neonata smetteva di respirare e doveva essere rianimata. Una situazione talmente seria che i dottori dovettero dire ai genitori che loro figlia aveva poche possibilità di lasciare l’ospedale viva.
Ora Kaiba ha 20 mesi e sta benissimo. Nessun miracolo naturalmente: tutto merito di un trattamento innovativo messo a punto dal dottor Glenn Green e dall’ingegnere Scott Hollister dell’ Università del Michigan, USA.
Grazie alla tomografia computerizzata i ricercatori hanno prima ottenuto un’immagine tridimensionale della trachea e dei bronchi e la hanno poi usata per progettare uno speciale tutore da avvolgere attorno al bronco sinistro, nel punto ritenuto critico per il collasso delle vie respiratorie di Kaiba. Il tutore è stato poi stampato con una stampante 3D e il 9 febbraio 2012 è stato effettuato l’intervento. 21 giorni dopo la bambina non aveva più bisogno di aiuto per respirare, ed è potuta tornare a casa coi genitori. Un anno dopo le analisi mostrano un normalissimo bronco.
Ma che fine farà il tutore con la crescita? Il materiale per la stampa è policaprolattone, un polimero biodegradabile, quindi il tutore, man mano che fornisce sostegno per la corretta crescita del bronco, verrà gradualmente riassorbito. Quando Kiaba avrà tre anni non ve ne sarà più traccia.
Questa eccezionale impresa medica, appena descritta sul New England Journal of Medicine punta di nuovo la lente di ingrandimento sulla stampa in 3D, che sta penetrando in qualunque settore. Usare la parola rivoluzione appare sempre un po’ troppo sopra le righe quando si parla di nuove tecnologie, ma un’azienda olandese ha appena ottenuto un finanziamento dalla NASA per continuare le ricerche sulla la stampa in 3D del cibo.
Esatto: forse in un futuro non troppo lontano gli astronauti potranno mangiare cibo solido stampandoselo a partire da un set di ingredienti “base” (un po’ come i colori delle cartucce di una normale stampante a getto di inchiostro). Un notevole risparmio di volume e peso per una missione spaziale. I “manicaretti” al momento sembrano poco più che figure di pongo fatte da un bambino, non è proprio come il “replicatore” di Star Trek, ma diamo tempo al tempo…
Se la stampa 3D può essere usata per salvare le vite, c’è anche chi ha subito pensato alle sue potenzialità nel senso opposto. Un’arma da fuoco è un oggetto relativamente semplice, ma tuttavia non facile da costruirsi in casa per via della precisione che si richiede. Con la stampa 3D questi ostacoli sono scavalcati. Il sito Defense Distributed, che proclama di difendere il secondo emendamento della costituzione USA, fino a poco tempo fa rendeva disponibili i file per potersi costruire un’arma perfettamente funzionante grazie a una stampante 3D. La pistola, basata sul modello della tradizionale AR-15 “Liberator”, è virtualmente invisibile ai metal detector poiché l’unica parte metallica che richiede è il percussore. Ora il governo federale ha bloccato il download dei file, ma tutti sappiamo che una volta che un file è su Interne è lì per sempre, e sappiamo quale sia la potenza del crowdsourcing: chiunque può provare a “migliorare” la pistola e a condividere i suoi progetti. Questa Liberator non è una novità venuta dal nulla, nel mondo delle armi da fuoco già avevano cominciato a circolare accessori e ricambi, ed è probabile che con il continuo ribasso dei prezzi delle stampanti e i governi impreparati sia dal punto di vista pratico che giuridico, la tendenza continui e vada ben oltre il campo dei cultori delle armi da fuoco.
Crediti immagine: University of Michigan Health System