STORIA – Tre articoli e 67 pagine di calcoli furono necessari al fisico danese Niels Bohr per la pubblicazione del suo nuovo modello di atomo. On the Constitution of Atoms and Molecules, “Della costituzione di atomi e molecole”, fu quindi un articolo mastodontico non solo per la sua rilevanza nella teoria della fisica atomica, ma anche per la sua estensione. Due anni e mezzo fa abbiamo celebrato proprio su questa webzine il centenario della formulazione dell’atomo di Rutherford: il modello planetario, quello con una forte carica al centro concentrata in un volume piccolo, e una nuvola di elettroni intorno. Il fisico neozelandese ideò il suo modello nel gennaio 1911; nel luglio 1913, appunto due anni e mezzo dopo, Bohr, che di Rutherford era stato allievo, corresse il proprio maestro, pubblicando sulla rivista Philosophical Review il primo dei tre articoli che lanciarono un nuovo modello di atomo.
Bohr si era accorto che qualcosa, nel modello di Rutherford, non funzionava come avrebbe dovuto: secondo la fisica classica, gli elettroni (cui, per inciso, Rutherford non aveva attribuito alcuna struttura specifica) avrebbero dovuto spiraleggiare dalla loro posizione emettendo energia elettromagnetica, fino a schiantarsi nel nucleo, rendendo tutti gli atomi instabili. Ma ciò non accadeva. Un altro aspetto che il modello di Rutherford non riusciva a spiegare era la validità sperimentale dell’equazione di Rydberg, formulata nel 1888 e che descriveva le linee dello spettro di molti elementi chimici: nonostante la formula permettesse di fare previsioni corrette, non era però supportata da alcuna spiegazione fisica. Ora sappiamo che, ai tempi di Rydberg, una spiegazione completamente valida non sarebbe mai potuta arrivare, e ciò per un motivo assai semplice: mancavano i fondamenti matematici che potessero permetterla. L’equazione di Rydberg esprimeva infatti, benché inconsapevolmente, il carattere quantistico degli atomi, e l’ipotesi che l’energia fosse irradiata e assorbita in ‘quanti’ discreti fu formulata matematicamente soltanto nel 1900 da Max Planck.
Il modello di Bohr continuava a mantenere al centro dell’atomo un nucleo compatto e positivamente carico, ma stavolta gli elettroni, invece di essere semplicemente sparsi attorno al nucleo, orbitavano su traiettorie ben precise – le orbite stazionarie – senza irradiare energia, a certe distanze discrete dal nucleo, in un modello simile a quello del sistema solare. L’attrazione tra elettroni e nucleo non era dovuta alla gravità ma alle forze elettrostatiche. Inoltre il nuovo modello, che teneva conto dei vincoli espressi dalla teoria quantistica, permetteva di spiegare fisicamente la struttura dell’equazione di Rydberg per l’idrogeno, oltre a fornire una giustificazione dei risultati empirici in termini di costanti fisiche fondamentali: i numeri interi dell’equazione diventavano, nella formulazione di Bohr, gli orbitali degli elettroni a diverse distanze intere dal nucleo. Secondo Bohr, gli elettroni potevano solo acquistare e perdere energia saltando da un orbitale all’altro, assorbendo o emettendo così radiazione elettromagnetica a una frequenza caratteristica, pari alla differenza di energia tra i due livelli. Oggi parleremmo dell’assorbimento o emissione di un fotone: Bohr, però, non parlò mai di fotoni, perché era fermamente convinto che non esistesse alcun oggetto fisico simile.
Benché il nuovo modello abbia rappresentato un passo in avanti in termini di spiegabilità del comportamento dell’atomo, fu successivamente superato dai modelli di Heisenberg e di Schrödinger, con il passaggio da quella che oggi viene chiamata vecchia teoria dei quanti alla meccanica quantistica, dodici anni dopo la pubblicazione del modello di Bohr. Per esempio, nel modello di Bohr, gli elettroni percorrevano orbite circolari, mentre nel modello quantistico gli elettroni non hanno né una posizione né una velocità precise, e non possono quindi percorrere un cerchio. La vecchia teoria dei quanti è vista oggi come un insieme di mezzi empirici che servirono a spiegare una serie di fenomeni, evidenziati dagli esperimenti, altrimenti inspiegabili nel quadro della meccanica classica: furono le prime, fondamentali avvisaglie di quella che sarebbe diventata la rivoluzione quantistica; fu il periodo in cui, seguendo lo schema tracciato nel 1962 dell’epistemologo Thomas Kuhn, le certezze del paradigma classico cominciarono a cadere.
Crediti immagine: Halfdan, Wikimedia Commons