CRONACA – Nel 1999, sulle pendici del vulcano Llullaillaco sulle Ande, fra Cile e Argentina vengono rinvenute tre mummie, una ragazzina tredicenne e due giovani di quattro o cinque anni. La testimonianza perfettamente conservata di una cultura di sacrifici e ritualità. Quella raccontata dai ricchi accessori rinvenuti presso le mummie Inca è infatti la storia di tre vittime sacrificali morte per ipotermia a più di 6000 metri di altitudine in sacrificio al loro imperatore. Oggi, grazie alle nuove analisi del gruppo di ricerca dell’Università di Bradford parlano ancora di sé, raccontando gli ultimi mesi della loro vita.
Sul viso della giovane tredicenne, la mummia meglio conservata al mondo, sembra dipinta un’espressione di pace, dicono i ricercatori, e le foglie di coca, la tumulazione sulla montagna e i preziosi adornamenti che l’accompagnavano la identificavano appartenente al gruppo di giovani vittime sacrificali che nel rito capacocha venivano fatte camminare per chilometri verso il vulcano, quindi portate in alto sulle sue pendici e sotterrate in buche dove avrebbero atteso la morte per assideramento. I racconti dei conquistadores spagnoli del XVII secolo descrivono in parte questo sistema rituale, ma di certo nulla dicono del punto di vista e delle ultime emozioni provate dalle giovani vittime.
Erano al corrente di quello che stava capitando? Conoscevano e accettavano il loro destino? Avevano paura? Nessuno finora era stato in grado di rispondere a queste domande, ma oggi gli ultimi studi effettuati sul corpo perfettamente conservato della vittima bambina provano ad ipotizzare qualche risposta, offrendo un nuovo, affascinante spaccato sui suoi ultimi mesi di vita. A raccontarli sono i suoi capelli, perfettamente conservati in curate trecce, dalle cui analisi è stato possibile risalire ai due anni prima del decesso.
Nei suoi ultimi dodici mesi, raccontano le trecce, la dieta è molto cambiata: da povera che era si è evoluta con l’introduzione di cibi più ricchi e nutrienti, specchio probabilmente del suo passaggio allo status più elevato di vittima. Morire per il proprio signore era considerato un onore, e il sacrificato diventava un protagonista, oggetto di attenzioni e cure particolari. La giovane quindi molto probabilmente sapeva bene cosa il destino le stava preparando e, come da usanza Inca, era incoraggiata ad accettarlo con orgoglio. Negli ultimi mesi è stato osservato un notevole aumento del consumo di coca e di alcol. La presenza di questa sostanza ha suggerito ai ricercatori diverse ipotesi. Forse la ragazza veniva sedata prima del rituale, o forse era banalmente nervosa e spaventata e questo la induceva a bere di più, o forse ancora era la normale prassi del rito che voleva che le vittime bevessero abbondanti quantità di birra di mais prima del sacrificio. Alcuni scienziati ipotizzano invece che fosse un’azione di carità per desensibilizzarla dall’imminente tragico destino.
I capelli contengono anche cortisolo, l’ormone legato allo stress. Se l’analisi di questo componente nei capelli della giovane di Llullaillaco mostrasse un aumento verso lo scadere dei suoi giorni, potrebbe suggerire importanti conclusioni, sostengono i ricercatori. Il caso risulta drammaticamente affascinante, sottolineando quanto poco consideriamo la storia un avvicendarsi di emozioni, piuttosto che la sequenza di fatti.
Crediti immagine: Joseph Castro, Wikimedia Commons