SALUTE

Prima diagnosticare i falsi positivi e poi l’autismo

SALUTE – Un anno fa su Molecular Psychiatry, alcuni ricercatori australiani sostenevano che 237 polimorfismi a un singolo nucleotide (SNP) consentivano di prevedere precocemente l’insorgenza di “disturbi dello spettro autistico” (ASD). Non proprio.

La definizione ufficiale di disturbi autistici elenca una gamma di comportamenti che spiega buona parte dell’aumento dei casi registrati da vent’anni, in particolare negli Stati Uniti dove si ritrovano in un bambino su 88 (e un bambino su 6 avrebbe generiche “disabilità dello sviluppo”). Nessuno esclude una componente genetica che resta però da stabilire. In tre geni collegati a funzioni cerebrali come il riconoscimento dei volti e l’elaborazione delle emozioni, e nei topi all’ansia e ai comportamenti stereotipati, il gruppo di Christos Pantelis dell’università di Melbourne aveva trovato

otto polimorfismi che erano altamente discriminatori nel determinare la classificazione di un individuo in ASD o non-ASD.

Insieme agli altri SNP di cui 30 bastavano a dare un “contributo diagnostico” del 58%, identificavano l’ASD con un’accuratezza dell’85% per genotipi dell’Autism Genetic Resource Exchange e del 71% per quelli della Simons Foundation Autism Research Initiative. La percentuale era molto più bassa per gli Han della Cina. Erano pertanto necessari studi su altri gruppi etnici, tuttavia i risultati indicavano che un

un classificatore predittivo come quello descritto poteva diventare uno strumento per lo screening alla nascita o nella prima infanzia e fornire un indice dello ‘status a rischio’, comprese stime di probabilità di uno sviluppo dell’ASD.

Un’accuratezza così era inaudita per i disturbi del comportamento. Nell’aprile scorso, tre genetisti facevano notare che gli autori non avevano tenuto conto di fattori che ne inficiavano i risultati, per esempio della frequenza di genitori appartenenti a due etnie diverse per i 123 individui del gruppo di controllo (risicato, rispetto a 732), preso dalla  Wellcome Trust Birth Cohort.

Benjamin Neale del Broad Institute Harvard-Mit e altri colleghi di centri altrettanto noti, hanno applicato lo stesso metodo a 5.400 genotipi del “grupp autismo” dello Psychiatric Genomics Consortium:

 Abbiamo chiesto agli autori l’elenco completo dei 237 SNP e il rispettivo peso statistico, ma hanno rifiutato di fornirlo. Abbiamo quindi costruito un classificatore con i 30 SNP più influenti (che spiegano circa il 58% del potere predittivo) attribuendo loro il peso indicato nell’articolo…

Il potere predittivo è scomparso del tutto. D’altronde, per attribuire a certi SNP con lo stesso livello di certezza le variazioni della statura umana

sono state necessarie le altezze di 180.000 persone.

Per l’ASD soltanto l’11% della variazione era attribuito correttamente.  L’articolo di Beale et al. è anche una lezione di analisi statistica: mostra come controllare la robustezza dei risultati ed eliminare i falsi positivi. Ma ha richiesto il lavoro di 18 persone che avrebbero preferito fare ricerca, invece di correggere quella altrui e a rimediare alle carenze della peer-review. (1)

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(1) La peer-review non funziona più, dicono tutti. Vitek Tracz che ha fondato BioMed Central, il primo editore in open access, e sei anni fa Science Navigation Group, ha deciso di farne a meno. Su F1000 Research gli articoli escono – con i dati completi, non 30 SNP su 237 – dopo un “controllo di qualità” e sono corretti on line da revisori che si firmano anch’essi con il nome e quello della propria istituzione.

Quando Tracz aveva creato BioMed Central, gli avevano dato del matto, gli scienziati non avrebbero mai pagato per pubblicare on-line su riviste appena nate. Potrebbe aver visto giusto anche questa volta, ma il tempo è poco e, potendo scegliere, chi non preferisce leggere una volta sola un testo definitivo?

Crediti immagine: Autism Society

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