CRONACA

Tifone Haiyan: cosa dice la scienza

Haiyan_2013-11-07_0120ZCRONACA – Si aggrava giorno dopo giorno il bilancio delle vittime del tifone Haiyan, abbattutosi sul centro delle Filippine a inizio novembre e che ha completamente distrutto città come Tacloban e che successivamente ha invaso con il suo passaggio anche Vietnam e Cina. Alcune stime parlano di oltre 3600 morti e più di 4 milioni di persone colpite, cifre che fanno di Haiyan  il più intenso uragano della storia.

Molto si può trovare in questi giorni in rete riguardo a una possibile correlazione tra questo evento catastrofico e il fenomeno del surriscaldamento globale, e molto altro viene detto o scritto a proposito della possibilità o meno di prevedere un evento come questo e attuare per tempo dei procedimenti di tutela delle persone coinvolte. Abbiamo cercato di fare luce sull’argomento interpellando alcuni tra i gli scienziati che in Italia si occupano di meteorologia e di scienze dell’atmosfera, ponendo loro due ordini di questioni: esiste una correlazione tra il cosiddetto global warming e un fenomeno come l’uragano Haiyan? Ed è possibile prevederne l’arrivo con un anticipo sufficiente da riuscire a evacuare la popolazione? Rispondono Francesco Cairo del Dipartimento Terra e Ambiente del CNR, Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima, Claudio Cassardo del Dipartimento di Fisica dell’Università di Torino, Rolando Rizzi, Coordinatore del Corso di Laurea in Fisica dell’Atmosfera e Meteorologia dell’Università di Bologna e Guido Visconti, già Direttore del Centro di Eccellenza Tecniche di Telerilevamento e Modellistica Numerica per la previsione di eventi meteorologici severi (CETEMPS).

Tifoni, uragani, cicloni: un po’ d’ordine

Anzitutto, quando si parla di fenomeni meteorologici di questo tipo non è facile orientarsi con la terminologia. La grande famiglia a cui Haiyan appartiene è quella dei cicloni tropicali e in relazione poi all’entità e alla zona geografica di formazione di un ciclone tropicale, esso assume nomi diversi: uragano nell’Atlantico settentrionale, tifone nel Pacifico settentrionale, tempesta tropicale, tempesta ciclonica o depressione tropicale nelle altre aree. Tutti questi fenomeni non sono che la manifestazione di processi fisici che si originano laddove le superfici marine raggiungono una temperatura che supera i 27°C, dando luogo a una grande quantità di vapore acqueo negli strati bassi dell’atmosfera. Al calore sensibile liberato dall’oceano si aggiunge il calore latente di condensazione liberato nell’aria proprio dal vapore acqueo in condensazione, dando origine al fenomeno ciclonico. “Quando il ciclone comincia a manifestarsi– spiega Rolando Rizzi – inizia a individuarsi quello che è noto come “occhio del ciclone”, la zona centrale attorno al quale si sviluppa e ruota il muro di nubi che caratterizza il vortice atmosferico. Intorno all’ “occhio” e vicino alla superficie i venti sono ancora più intensi e accentuano la presenza di vapore acqueo ceduto dall’oceano all’atmosfera, facendo così aumentare di intensità il ciclone stesso. In questo senso – continua Rizzi – possiamo dire che Haiyan con i suoi 315 km/h di velocità del vento vicino al suo “occhio” è da considerarsi il più intenso uragano della storia.”

Tifoni e global warming: quale correlazione?

“Secondo le statistiche degli ultimi 30 anni non ci sono dati sensibili che dimostrino una correlazione tra l’aumento della temperatura globale e la frequenza di fenomeni atmosferici come questo – afferma Guido Visconti – semmai possiamo individuare un legame con l’intensità di questi eventi, ma anche in questo caso bisogna porre dei distinguo.” Negli ultimi decenni ad essere aumentato non è il numero degli eventi catastrofici, ma il numero di fenomeni atmosferici molto intensi, come appunto Haiyan, cioè di grado 5, il massimo della scala Saffir-Simpson. “I cicloni infatti non richiedono il riscaldamento globale per avere origine – spiega Rizzi – capiterebbe lo stesso in zone dove le temperature marine dovessero superare un certo limite critico. Quello che il riscaldamento globale produce è invece una maggior energia disponibile che implica venti molto elevati.” Insomma, il riscaldamento globale a cui ci stiamo condannando, sebbene non provochi più cicloni di quanti se ne originerebbero spontaneamente, è responsabile comunque del verificarsi di eventi più intensi e distruttivi, con conseguenze sempre più disastrose sulle zone colpite. “Se facessimo una simulazione del nostro futuro e delle conseguenze del riscaldamento globale su questo tipo di eventi – conclude Visconti –  noteremmo che i fattori che determinano i danni nel caso di un fenomeno ciclonico sono due: l’intensità al centro dell’vortice e la vulnerabilità della regione colpita. Ad esempio negli Stati Uniti, data la tendenza della popolazione a emigrare verso le zone costiere, dal 1980 a oggi sono stati spesi fino a 10 miliardi di dollari l’anno per far fronte ai danni provocati dagli uragani, che diventano 30 miliardi di dollari se si contano anche le nuove infrastrutture costruite dopo gli eventi. Ebbene, provando a quantificare, sempre tramite simulazioni, l’impatto del riscaldamento globale, la cifra sale a 40 miliardi di dollari di danni all’anno.”

Prevedere i tifoni è possibile?

A differenza dei terremoti, impossibili da prevedere ma da cui ci si può in qualche modo opportunamente difendere, nel caso dei tifoni il problema non è la previsione, ma la possibilità pratica di far fronte alla calamità. L’arrivo di un ciclone infatti si può prevedere e di fatto anche nel caso di Haiyan è stato previsto, con un preavviso di circa 2-3 giorni. “Ci sono delle condizioni che annunciano l’arrivo di un ciclone, ma rimane comunque difficile individuare il momento in cui esso avrà effettivamente origine”, spiega Francesco Cairo, “è più semplice capire qualcosa della direzione che il ciclone prenderà una volta nato e soprattutto prevederne l’intensità, dato che quest’ultima variabile dipende dalla quantità di vapore acqueo negli stati inferiori dell’atmosfera, che  una grandezza fisica misurabile.” In particolare, come ci illustra Claudio Cassardo, “il grado di prevedibilità degli eventi meteorologici a 2-3 giorni dal loro verificarsi varia dal 90% al 97%, andando poi drasticamente a scendere sotto il 70% a 10 giorni dall’evento. Il fattore più complesso da prevedere è in realtà la traiettoria del moto del sistema, in quanto è influenzata da fattori locali, ma in ogni caso la stima è molto attendibile per i 2-3 giorni successivi.” A fare la differenza dunque non è tanto il riuscire a prevedere l’arrivo di un fenomeno o comunicare l’allarme alla popolazione con sufficiente anticipo, ma essere in grado di attuare per tempo le misure preventive di salvaguardia della popolazione, specie per riuscire a evacuare un numero ingente di persone come quelle coinvolte da Haiyan.

Crediti immagine: NASA, Wikimedia Commons

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.