CRONACA – Fermata globulo rosso. È una delle tappe obbligate del ciclo vitale del plasmodio, il parassita responsabile della malaria, che vive e si riproduce passando dalle zanzare all’uomo e ritorno. Non è una tappa semplice, ma ora ne sappiamo qualcosa in più grazie ai risultati di un lavoro dell’équipe di Peter Preiser, della Nanyang Technological University di Singapore. Una scoperta che potrebbe valere “un nuovo potenziale vaccino”. O almeno così annuncia, con un po’ di enfasi, un comunicato stampa dell’università. Ma vediamo meglio, partendo da qualche dettaglio sul processo di invasione dei globuli rossi da parte del plasmodio .
Per prima cosa si forma una giunzione, una particolare struttura cellulare che mette fisicamente in comunicazione il parassita con la cellula umana. In un secondo momento il plasmodio si lega irreversibilmente al suo ospite e attiva un complesso “macchinario” cellulare che lo spinge al suo interno. Ebbene, i ricercatori di Singapore sono riusciti a descrivere in dettaglio una particolare regione di una delle proteine del parassita coinvolte nelle prime fasi di questo processo e a generare un anticorpo specifico contro questa regione. L’anticorpo blocca una via di segnalazione cellulare basata sugli ioni calcio, il che a sua volta impedisce la formazione della giunzione cellulare. Insomma, è come se impedisse al parassita di usare la chiave che gli permette di entrare nel globulo rosso. Niente chiave, niente invasione, niente malaria.
Ecco, davvero una bella scoperta, anche perché meglio si conosce un processo, migliori sono le possibilità di intervenire per modificarlo. In effetti, commentano gli autori su Nature Communications, «queste nuove conoscenze potrebbero aiutare a identificare nuovi bersagli di intervento contro la malaria». Una cauta dichiarazione di ottimismo, che diventa un po’ più esplicita nel comunicato stampa che lancia lo studio. Tornano alla mente titoli analoghi già sentiti in passato: «Lo sviluppo di un vaccino efficace contro la malaria è un passo più vicino»; «Rinnovate speranze per un vaccino efficace contro la malaria»; «Scoperto un nuovo meccanismo che potrebbe portare a un vaccino».
Ma a che punto siamo davvero, oggi, lungo la strada dello sviluppo di un “vaccino efficace” contro una malattia che nel 2012 ha causato ancora oltre 620 mila decessi (la fonte è l’ultimo rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità sulla malaria)? Il punto è che siamo a un vaccino – già, uno solo – in avanzata sperimentazione. È l’RTS,S AS01 della GSK, al momento testato in sette paesi africani (qui la mappa). «Si tratta di un vaccino pre-eritrocitario, che agisce cioè prima della fase di invasione dei globuli rossi, il che dovrebbe permettere sia la difesa dall’infezione in soggetti a rischio, sia la trasmissione della malattia da individuo a individuo» spiega Ashley Birkett, direttore della no profit PATH Malaria Vaccine Initiative.
Certo è il miglior candidato sulla piazza e anche se i primi risultati di una sperimentazione clinica su bambini sono stati un po’ più deludenti del previsto, è al momento l’unico che potrebbe rispondere all’obiettivo di sviluppare entro il 2015 un vaccino di prima generazione con un’efficacia protettiva di almeno il 50%, posto nel 2006 dalla Malaria Vaccine Technology Roadmap elaborata dall’OMS. Di approcci in ballo, comunque, ce ne sono anche molti altri, e non riguardano solo la fase pre-eritrocitaria. «Storicamente ci si è concentrati molto su vaccini rivolti contro la fase di invasione dei globuli rossi» racconta Birkett. «Questi dovrebbero ridurre il rischio della persona infetta di ammalarsi, ma non necessariamente riducono la trasmissione del parassita da persona a persona, che è un obiettivo fondamentale se si punta all’eradicazione della malattia». E proprio su questo obiettivo puntano i candidati che dovrebbero bloccare la trasmissione, impedendo al plasmodio di maturare correttamente nelle zanzare.
Una molteplicità di strategie d’attacco che rileva chiaramente la difficoltà principale nello sviluppo di un vaccino contro la malaria e cioè la complessa biologia del nemico. «Abbiamo vaccini contro virus e contro batteri, ma con il plasmodio è tutto più difficile, perché questo parassita ha un ciclo vitale complicato, con oltre 5000 proteine che potrebbero rappresentare dei bersagli per farmaci e vaccini» commenta Berkitt. E ancora non sappiamo con precisione assoluta come reagisce il nostro sistema immunitario alla presenza del parassita.
Insomma, serve uno sforzo di ricerca immenso e per questo sono fondamentali risultati come quelli di Preiser e colleghi, anche se il passo dalla pubblicazione di un paper allo sviluppo di un vaccino rimane molto più lungo di quanto certi titoli un po’ autopromozionali possano far pensare. L’OMS, comunque, rimane positiva: lo scorso novembre ha rilasciato un aggiornamento della Malaria Vaccine Technology Roadmap che conferma l’obiettivo del 2015 e ne pone un altro decisamente ambizioso: sviluppare entro il 2030 un vaccino contro Plasmodium falciparum e Plasmodium vivax (i due responsabili principali della malattia) con efficacia del 75% e in grado di limitare la trasmissione della malaria. Per riuscirci davvero, però, non può mancare un ingrediente importantissimo: i soldi per la ricerca.
Immagine: Globulo rosso infettato da parassiti della malaria (in azzurro). Di NIAID / Flickr