CRONACA – Se negli Stati Uniti il freddo è così intenso che le cascate del Niagara sono ghiacciate, nel Wisconsin usano la salamoia dell’industria casearia per scongelare le strade e allo zoo di Chicago l’orso polare è tenuto all’interno, perché non ha uno strato di grasso sufficiente.
Sta facendo il giro dei media di tutto il mondo il big snap, l’ondata di freddo che ha colpito gli Stati Uniti sfiorando i 50 gradi sottozero. Un evento climatico estremo che il National Weather Service ha definito life-threatening, ovvero “che mette in pericolo di vita”, e che in moltissimi stati non ha solamente immobilizzato le città ma anche risvegliato…gli scettici del cambiamento climatico.
Non è dunque bastato il rapporto chiarificatore dell’Intergovernmental panel on climate change tenutosi a Stoccolma nel settembre 2013, che ha tolto (o meglio, avrebbe dovuto togliere) ogni dubbio a riguardo. Invece vento gelido, allarme meteo, e subito sono fioccati interventi perlopiù sarcastici al riguardo, come quello dell’imprenditore Donald Trump che ha twittato “We are experiencing the coldest weather in more than two decades -most people never remember anything like this. GLOBAL WARMING, anyone?”. Fortunatamente c’è chi ha sottolineato come Trump non sia esattamente un esperto climatologo.
Se dunque da una parte fenomeni climatici estremi come questo “vortice polare” (o anche solo improvvise nevicate) sono sufficienti agli scettici per validare le loro teorie, dall’altra molti scienziati sostengono che spesso si tratta invece della prova tangibile del cambiamento climatico in atto. Se solitamente i forti venti del vortice lo mantengono stabile sulla zona artica, infatti, stavolta potrebbe essere stato il riscaldamento della stratosfera a indebolirli, portando come conseguenze non solo il big snap ma anche l’ondata di freddo che ha colpito il Regno Unito in gennaio, come ha spiegato Peter Gibbs della Bbc. Noi non siamo stati da meno, e ne ha diffusamente parlato Mario Giuliacci in svariati interventi nel corso dell’inverno.
SSW: Sudden stratospheric warming events, riscaldamento della stratosfera. Di che si tratta? Come possiamo leggere su Climate Central, “Questi eventi si verificano a inverni alterni in tutto l’Emisfero Boreale, e hanno cominciato a essere più frequenti durante l’ultima decade, possibilmente in relazione allo scioglimento dei ghiacci nel Mar Glaciale Artico dovuto al riscaldamento globale. A settembre del 2012 questi ghiacci hanno raggiunto la minore estensione mai registrata”.
Ingegneria climatica e nuove frontiere di ricerca
Secondo alcuni scienziati, per far fronte a questa situazione sempre più preoccupante saranno presto necessari approcci di ingegneria climatica, ovvero manipolazione dell’ambiente su larga scala per combattere l’inesorabile aumento di anidride carbonica nell’atmosfera e, di conseguenza, il riscaldamento globale. Gli interventi, in particolare, comprendono “tecniche di dispersione di particelle di aerosol nella stratosfera a un opportuno indice di rifrazione”, una pratica che, come spiegano gli scienziati, si rifà a quanto accade durante le eruzioni vulcaniche.
Tuttavia, pur essendo solo all’inizio nell’esplorazione di questa disciplina scientifica che a tratti sembra quasi futuristica, il pubblico ha una visione totalmente negativa dell’ingegneria climatica, e cambiarla non sarà facile. I ricercatori delle Università di Southampton e Massey (in Nuova Zelanda) hanno perciò deciso di avviare la prima indagine sistematica mai fatta sulla percezione del grande pubblico al riguardo, e l’hanno pubblicata sulla rivista Nature Climate Change la scorsa settimana.
Un co-autore dello studio, Damon Teagle, ha commentato: “Nonostante il concetto stesso di ingegneria climatica sia molto controverso, la necessità di consultare il pubblico e comprenderne le preoccupazioni è impellente, prima di prendere qualsiasi decisione”. Eppure non si tratta propriamente di un approccio facile, spiega il leader della ricerca Malcolm Wright, in quanto “I precedenti tentativi di coinvolgere i cittadini sono rimasti su piccola scala e si è trattato più che altro indagini esplorative. Nel nostro nuovo studio, invece, abbiamo sfruttato dei metodi che di solito vengono utilizzati per valutare l’impatto di nuovi marchi e prodotti.”
Secondo i ricercatori la percezione generale del pubblico è indiscutibilmente negativa, anche se si apre uno spiraglio di reazioni positive quando si parla di approcci per ridurre le emissioni di anidride carbonica. Per quanto riguarda interventi più impegnativi e quasi difficili da immaginare il riscontro invece è poco incoraggiante. Il risultato, commentano gli autori, lascia davvero poco alle interpretazioni: “Interventi come mettere degli specchi nello spazio [per deviare i raggi solari in modo che molti meno raggiungano la Terra, rallentandone il riscaldamento] o rilasciare particelle sottili nella stratosfera non vengono accolti positivamente. Processi più naturali come aumentare la riflessività delle nuvole o incrementare pioggia e nevicate suscitano molte meno reazioni negative, mentre i vincitori in assoluto sono quelli che prevedono la creazione di biocarburanti o la cattura del carbonio direttamente dall’aria”.
I due campioni di popolazione più rappresentativi dello studio provengono da Australia e Nuova Zelanda, e in entrambi i casi i ricercatori sono rimasti sorpresi da un lieve picco positivo riscontrato negli intervistati di età più avanzata. Dar voce all’opinione pubblica in uno stadio così precoce dello sviluppo tecnologico è decisamente inusuale, riconoscono gli scienziati, ma sempre più necessario. “Se queste tecniche venissero sviluppate e utilizzate diffusamente la popolazione andrebbe consultata, e i nostri metodi possono essere utilizzati per verificare la situazione anche in altri paesi”. Mentre al momento l’ingegneria climatica è quasi agli inizi, secondo gli autori sarebbe davvero interessante monitorare come cambierà l’opinione pubblica via via che queste nuove tecnologie verranno diffuse e sviluppate. E se continuiamo così, sarà presto necessario accelerarne lo sviluppo.
Crediti immagine: Dan Nguyen, Wikimedia Commons