RICERCA – Tutto è iniziato il 4 ottobre 1957 con il lancio del primo satellite artificiale in orbita intorno alla Terra, lo Sputnik. Da allora sono stati effettuati più di 6.000 lanci. E quasi tutti questi lanci hanno lasciato un segno in orbita, producendo numerosi detriti. Oggi, questi rifiuti spaziali – satelliti ormai fuori uso, vecchi razzi vettori, oggetti lasciati più o meno volontariamente dagli astronauti – viaggiano a una velocità tra 25.000 e 36.000 km/h intorno alla Terra.
Secondo le stime della NASA, in orbita ci sarebbero circa 22.000 oggetti di dimensioni superiori a 10 centimetri, 500.000 con dimensioni comprese tra 1 e 10 centimetri. A questi si aggiungono altri 100 milioni di pezzi, veri e propri proiettili vaganti, così piccoli da non poter essere individuati dagli strumenti.
Tutti questi rifiuti spaziali che si muovono su orbite tra i 500 e i 2.000 km di quota rappresentano un serio pericolo sia per i satelliti artificiali, sia per gli astronauti in missione nello spazio. Nel 2006, per esempio, la collisione tra un minuscolo frammento di spazzatura spaziale e un satellite lasciò senza televisione alcune zone delle Russia orientale. E nel 2009 uno scontro tra un satellite russo in avaria e uno americano causò la formazione di una nuvola di 2.000 detriti metallici.
Ora, visto che nel prossimo decennio saranno mandati in orbita più di 1.000 satellite, la situazione è destinata a peggiorare. Lo scenario più catastrofico finora previsto – la sindrome di Kessler – ipotizza il raggiungimento di una massa critica di detriti spaziali tanto elevata da generare una serie di collisioni a catena, con la conseguente generazione esponenziale di nuovi detriti. Nuovi detriti che ostacoleranno l’attività dei satelliti e le missioni spaziali.
Una possibile soluzione è stata proposta dall’Agenzia di Esplorazione Aerospaziale Giapponese (Jaxa), che oggi lancerà nello spazio un satellite dotato di una rete elettromagnetica in grado di catturare i rifiuti spaziali, ne abbiamo parlato qui.