Stimolazione elettrica del midollo spinale: quattro paraplegici muovono le gambe
I risultati ottenuti con la nuova terapia sono stati appena pubblicati sulla rivista scientifica Brain. Per due dei pazienti la paralisi era sia motoria che sensoriale
Aggiornamento del 18 agosto 2016, ore 11:45 – Questo articolo sta suscitando nuovamente molto interesse nei nostri lettori ma ricordiamo che la sua data di pubblicazione non è recente, risale al 18 aprile 2014. La redazione
RICERCA – Quattro persone paraplegiche possono ora muovere muscoli che sono rimasti paralizzati per oltre due anni, grazie ai risultati di una nuova terapia che coinvolge la stimolazione elettrica del midollo spinale. Lo spiega uno studio pubblicato su Brain.
Ognuno dei pazienti è ora in grado di flettere volontariamente le dita dei piedi, le caviglie e le ginocchia, e i miglioramenti hanno cominciato a essere evidenti a pochi giorni dall’inizio della terapia. Il risultato è sorprendente per due dei pazienti in particolare, in quanto la paralisi non era solo motoria ma anche sensoriale: il meccanismo che invia le informazioni dalle gambe al cervello era infatti compromesso al pari di quello che, dal cervello, orienta il movimento delle gambe stesse. “Quando abbiamo appreso che uno dei pazienti aveva riacquistato il controllo volontario dopo la stimolazione spinale, abbiamo reagito in modo cautamente ottimistico”, spiega Roderic Pettigrew, del National Institute of Health. “Ora che il successo riguarda quattro pazienti, abbiamo le basi per pensare che molte persone che finora avevano pochissime speranze di riprendersi dai danni subiti alla spina dorsale potrebbero invece beneficiare della terapia”.
Lo studio è la continuazione di una ricerca pilota iniziata nel 2009, per determinare se la stimolazione del midollo spinale, parallelamente a esercizi quotidiani sul tapis-roulant, potesse aiutare i pazienti paralizzati a riacquistare almeno in parte la capacità di muoversi. Già allora Rob Summers, uno dei quattro pazienti (paralizzato dal petto in giù), era riuscito grazie allo stimolatore epidurale a sostenere il proprio peso durante la fisioterapia, rimanendo in piedi fino a quattro minuti senza essere aiutato. Ma non finì così: circa sette mesi dopo, Summers si rese conto di aver riacquistato il controllo parziale delle gambe. Gli stessi ricercatori ne rimasero stupiti, in quanto il movimento richiede la comunicazione tra il cervello e la parte inferiore del midollo spinale, e si tratta di un percorso che ritenevano irrimediabilmente compromesso a causa della sua ferita. Nel tempo, anche senza più ricevere stimolazione continuativa, Summers ha lentamente riacquistato il controllo della vescica, le funzioni sessuali, e visto migliorare la pressione sanguigna.
La velocità con la quale i pazienti hanno sperimentato un miglioramento ha stupito il team di scienziati, che la ritengono la prova dell’esistenza di connessioni “latenti” nei pazienti con paralisi totali, connessioni sulle quali si può intervenire per far loro riacquistare il movimento volontario. “È possibile che, piuttosto che una completa separazione tra le parti del corpo al di sopra e al di sotto della lesione, ci sia invece un collegamento. Ma che non sia più funzionale, e che la stimolazione elettrica del midollo spinale lo abbia riattivato”, spiega Reggie Edgerton, dell’Università della California a Los Angeles.
I quattro pazienti si sono dimostrati in grado non solo di muovere volontariamente varie parti del corpo prima paralizzate, ma anche di sincronizzare il movimento a quello di un’onda mostrata sullo schermo di un computer. La risposta a uno stimolo visivo, e la capacità di sincronia con esso, secondo i ricercatori rappresenta un’ulteriore prova che il cervello sta operando al meglio delle sue possibilità con le connessioni che rimangono funzionali, e che le informazioni che riceve vengono inviate alla giusta posizione sul midollo spinale. In questo modo le persone possono controllare la natura del movimento, in maniera molto accurata.
Nei prossimi mesi verranno testate le conseguenze di prolungati periodi di stimolazione condotti parallelamente agli esercizi quotidiani di fisioterapia, per verificare gli effetti sul lungo termine. “La tecnologia che abbiamo usato per gli stimolatori era stata progettata per un utilizzo molto più limitato, ovvero per ridurre i dolori che colpiscono la schiena. I risultati ottenuti dalla sperimentazione animale, tuttavia, ci hanno chiarito che la stimolazione poteva fare molto di più”, conclude Edgerton. “In futuro vogliamo essere in grado di identificare quale parte del midollo spinale va stimolata, e quando, per ogni singolo movimento. Al momento la tecnologia manca di questo tipo di sensibilità”.
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Crediti immagine: University of Louisville