SALUTE – Nel 2010 la rivista Nature ha inserito le biobanche tra le 10 idee che cambieranno il mondo, e anche in Italia in questo senso ci si sta dando da fare. È nata in Sicilia RIMEDRI (Rete Integrata di MEDicina RIgenerativa) il primo network informatizzato di biobanche regionali, finalizzato ad incrementare le nostre conoscenze nell’ambito della medicina rigenerativa, cioè quella branca che studia come riparare organi o tessuti danneggiati facendo uso delle cellule staminali.
In particolare, la ricerca avrà il compito di aprire la strada alla messa a punto di nuovi prodotti da promuovere sul mercato sanitario e farmaceutico. Il progetto è finanziato dall’assessorato delle Attività Produttive della Regione Siciliana, con fondi europei, coinvolge sia strutture pubbliche che private ed è accreditato da un ente terzo. Ne abbiamo parlato con Aurelio Maggio, Direttore del Dipartimento di Oncologia ed Ematologia dell’Ospedale “Villa Cervello” di Palermo, azienda ospedaliera capofila dell’iniziativa.
Che cos’è, anzitutto, una biobanca?
Una biobanca è una struttura che raccoglie campioni di materiale biologico, come sangue, ma anche tessuti umani. Una sorta di banca vera e propria, dove tutto ciò che è conservato viene anonimizzato, e a cui università, centri di ricerca, strutture ospedaliere, possono far riferimento per avere campioni di materiale biologico per le loro ricerche, il tutto sotto l’egida di un codice etico ben preciso. Ovviamente, affinché una biobanca si riveli davvero utile, è necessario che si metta in rete con altre biobanche in modo da creare un “archivio comune” per i ricercatori, molto più utile perché più ricco. Proprio per questo è nata Rimedri, per mettere in rete le biobanche presenti sul territorio siciliano e offrire così a chi fa ricerca un campione più diversificato e completo a cui attingere.
Come è nata l’idea e chi ne fa parte?
L’iniziativa è nata nel 2011 a seguito della pubblicazione di un bando da parte dell’Assessorato alle Attività Produttive rivolto alle grandi imprese, tra cui compaiono anche le aziende sanitarie. Per partecipare al bando, noi ci siamo avvalsi del Centro Nazionale per le Risorse Biologiche, riconosciuto dal ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, e che ha alle spalle una pluriennale esperienza nel settore del biobanking. Abbiamo coinvolto enti pubblici e privati come il Dipartimento Biomedico di Medicina Interna e Specialistica, ed il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche, Chimiche e Farmaceutiche dell’Università degli Studi di Palermo e l’immunoematologia e medicina trasfusionale dell’Asp di Ragusa.
Ne fa parte, inoltre, la Fondazione Franco e Piera Cutino, che avrà il compito di caratterizzare le cellule staminali prelevate dal sangue dopo la stimolazione con differenti fattori di crescita e di ricercare quali di questi fattori siano i più efficaci per rendere le cellule staminali più idonee per la terapia genica. Per quanto riguarda il nostro network, per il pubblico sono entrati a far parte la banca delle cellule staminali ematopoietiche, quella di cellule da leucemia acuta e cronica, la banca delle cellule mesenchimali fetali e quella della cornea ed atri tessuti. Per il privato, la banca di tessuti oncologici e del midollo osseo dell’Istituto oncologico del Mediterraneo, di Catania, la banca di gameti alla Casa di Cura Candela di Palermo e quella di Acidi Nucleici e Amniotici nei laboratori Campisi ad Avola.
Ci potrebbe fare un esempio di vantaggio che una rete come questa può portare alla ricerca scientifica?
Prendiamo per esempio la leucemia mieloide cronica. Oggi è possibile curare questa patologia attraverso dei farmaci che inibiscono una certa proteina, che si è scoperto essere responsabile della proliferazione delle cellule, rendendole tumorali. Ma come è prassi per quanto riguarda i tumori, non tutti i pazienti reagiscono allo stesso modo, e alcune volte le cellule leucemiche subiscono delle mutazioni genetiche, diventando così resistenti al farmaco inibitorio. Conservando il DNA di queste cellule è possibile per esempio studiare farmaci nuovi specifici per le singole variazioni, il che desta – come può ben capire – l’interesse anche e soprattutto delle case farmaceutiche.
E ancora, la rete fornirà fra le altre cose un archivio di cellule staminali ematopoietiche dalle quali potrebbe essere possibile ricavare cellule per terapie non ematologiche, come la ricostruzione del tessuto vascolare dopo l’infarto del miocardio, oppure cellule mesenchimali in grado di produrre cartilagine, adipociti e osteociti.
A che punto siete con la messa in rete e chi potrà accedervi?
Attualmente abbiamo quasi terminato la piattaforma informatica e stiamo procedendo con la messa a punto delle procedure di conservazione, che devono essere uguali in tutta la regione. Ovviamente i dati non saranno rilasciati in open source, sebbene anonimizzati, ma potranno accedervi i centri di ricerca, gli ospedali, le fondazioni che fanno parte del network. Prevediamo la conclusione dei lavori per giugno 2015.
Crediti immagine: Department of Histology, Jagiellonian University Medical College , Wikimedia Commons