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WW1: anche il sonar compie 100 anni

5868562189_0f4c681fa1_bSPECIALI GIUGNO – Pare che anche una tragedia immane come quella che coinvolse i passeggeri del Titanic il 12 aprile 1912 abbia contribuito a una qualche forma di innovazione scientifica. Stiamo parlando del sonar, una tecnica che fa uso della propagazione del suono sott’acqua come veicolo per la comunicazione o per rilevare la presenza e la posizione di imbarcazioni.

Ma cosa c’entrano il Titanic e la prima guerra mondiale con il sonar? C’entrano, seppur in modo diverso, perché hanno determinato il miglioramento delle tecnologie che costituivano gli strumenti sottomarini di inizio secolo, i cui primi prototipi furono inventati dallo statunitense Lewis Nixon nel 1906 e dovevano servire alle navi per individuare gli iceberg in tempo per evitare collisioni.

Il primo brevetto della storia per un apparato generatore di eco subacquea venne registrato presso l’Ufficio Brevetti britannico dal meteorologo inglese Lewis Richardson, proprio un mese dopo l’affondamento del Titanic. Due anni dopo, nel 1914, il canadese Reginald Fessenden costruì un sistema sperimentale in grado di individuare un iceberg a due miglia di distanza.
Il nome però più famoso correlato allo sviluppo della tecnologia dei sonar è quello del fisico francese Paul Langevin, che in collaborazione con l’ingegnere elettronico russo Constantin Chilowski, lavorò fin dal 1915 allo sviluppo di apparecchi per rilevare imbarcazioni nemiche utilizzando le onde sottomarine. Quando scoppia il primo conflitto mondiale dunque i contendenti non hanno ancora a disposizione una tecnologia tale da riuscire a individuare i sommergibili nemici. Questa sarà una delle sfide marittima delle superpotenze mondiali dal 1915 al 1918.
In particolare, saranno gli inglesi nel 1916 a fare il passo in avanti più significativo in questa direzione dall’inizio della guerra. Il fisico canadese Robert Boyle assunto nientemeno che dalla Divisione Anti-sottomarina britannica, nel 1917 costruì il primo apparato al mondo in grado di individuare un suono attivo subacqueo. Si trattava di quello che oggi definiamo idrofono, un microfono progettato per essere utilizzato sott’acqua o per ascoltare suoni provenienti dall’acustica sottomarina.
Durante i primi anni del conflitto questi primi sonar erano però dispositivi unicamente passivi, in grado cioè di captare i segnali provenienti da una sorgente di onde sottomarine, ma non di emettere segnali a sua volta in risposta a quelli ricevuti, instaurando in questo modo una comunicazione. Per vedere all’opera i primi strumenti attivi bisognerà attendere l’ultimo periodo del conflitto e ancora una volta sarà l’esercito britannico, insieme a quello statunitense, a sviluppare questa tecnologia.

Il sonar attivo funzionava in linea di principio in questo modo: misurava la distanza attraverso l’acqua utilizzando due transponders (contrazione di Transmitter responder), cioè apparecchi in grado sia di emettere che di ricevere segnali. Quando il primo trasponder emetteva un segnale l’apparecchio misurava il tempo intercorso tra il segnale emesso e quello ricevuto dal secondo transponder. La differenza di tempo, sottratta la velocità del suono attraverso l’acqua e diviso per due, permetteva la rilevazione della distanza tra i due trasponders.
Utilizzando trasponders multipli, i militari scoprirono ben presto anche come risalire alle posizioni non solo di oggetti statici, ma anche di corpi in movimento. Un vantaggio non certo secondario in guerra.

Oggi noi sappiamo che affinché i sonar funzionino con precisione sono necessari in realtà meccanismi più complessi. La velocità di propagazione del suono infatti, parametro fondamentale nella fisica dei sonar, e le sue formule variano a seconda di temperatura, salinità e pressione dell’acqua, e quest’ultima varia a seconda della profondità.
Un calcolo approssimativo dunque funziona per quanto riguarda l’acqua a temperature normali, ma nel caso dell’ambiente marino le variazioni possono essere considerevoli e questo può influenzare notevolmente il funzionamento e la portata del sonar. Sappiamo oggi che il suono emesso infatti potrebbe essere curvo o rifrangersi, trasmettendo in questo modo false informazioni.

Crediti immagine: Michael, Flickr

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.