I parchi naturali hanno fatto la storia
Come conquista del XX secolo, sono ancora un'entità da valorizzare?
SPECIALE FEBBRAIO – Il 2 febbraio 2016 l’Unione Europea ha approvato il suo piano di difesa della biodiversità. Secondo l’International Union for Conservation of Nature (IUCN) le misure sarebbero però insufficienti. Sarebbe stato meglio seguire la “sfida di Bonn” – dichiara l’associazione in un comunicato – che dava indicazioni concrete per recuperare e preservare un totale di 350 milioni di ettari di foreste disseminate sul territorio europeo.
Ma quante aree protette ha l’Europa? E l’Italia come contribuisce alla costituzione di tale patrimonio? Secondo il sito Protected Planet, in Europa ci sarebbero quasi 120 mila aree protette terrestri, tra riserve naturali, monumenti paesaggistici, siti dedicati alla ricerca scientifica o alla difesa della biodiversità.
L’Italia e le sue aree protette
In Italia sono 1366. Tra queste danno un importante contributo i parchi naturali: 127 aree, tra parchi nazionali e regionali. Secondo l’Elenco ufficiale delle Aree protette, redatto dal Ministero dell’Ambiente, le zone sorte per preservare la natura coprirebbero l’11% del territorio nazionale. I primi tentativi di salvaguardia dell’ambiente nel nostro paese risalgono all’inizio del Novecento, come spiega Francesco Silvestri nell’articolo “Breve storia della conservazione del paesaggio in Italia“. Due deputati, Luigi Rava e Giovanni Rosadi, si impegnarono a difendere il territorio del ravennate per ragioni letterarie: la pineta in questione era cantata da Lord Byron.
Altrove negli stessi anni viene fondata la IUCN ed è inaugurato negli Stati Uniti il Parco di Yellowstone. Ma in Italia occorre aspettare il fascismo, con la sua visione nazionalistica, perché si prendano provvedimenti di portata più ampia. Proprio all’epoca del fascismo risale l’inaugurazione dei primi parchi nazionali che oggi, secondo la stima del progetto Corine Land Cover, coprono il 62% dei territori protetti. Il Parco del Gran Paradiso in Valle d’Aosta e il Parco d’Abruzzo vennero istituiti nel 1922. Dopo 12 anni fu la volta del Parco del Circeo (1934), seguito l’anno successivo dal Parco dello Stelvio. Questi quattro parchi rimarranno per più di 30 anni le uniche aree protette del nostro Paese. Se il Gran Paradiso nacque per volontà di circoli scientifici piemontesi, gli altri parchi nacquero in realtà solo per celebrare il governo fascista e per attirare i primi flussi turistici italiani.
Solo nel dopoguerra le comunità scientifiche incominciano a intervenire sulla questione della tutela dell’ambientale. Tra il 1950 e il 1975 vennero fondati tra gli altri Italia Nostra, Federazione Nazionale Pro Natura, il WWF italiano, il FAI, Lipu e Legambiente. Sempre nel 1952, in seno al CNR, venne istituita una commissione con il fine di creare una normativa condivisa per la tutela dei parchi nazionali. La commissione non fu in grado di redigere tale legislazione a causa della caduta del governo, ma la riflessione di docenti universitari, esperti, esponenti delle associazioni ambientaliste servì comunque a lanciare il grido di allarme per la situazione dei parchi italiani.
L’altro anno fondamentale nella storia delle aree protette italiane è il 1970, quando una legge dà autonomia alle regioni. È così che viene fondato il Parco Regionale del Ticino. E con il Decreto D.P.R. 616/77 molte competenze in materia di tutela di ambienti relativamente intatti sono passate dallo Stato alle Regioni. Il passaggio di consegna doveva andare a vantaggio dell’uso di queste aree in modo compatibile con la popolazione e le esigenze locali.
Per una legge più completa e incisiva occorre attendere fino al 1991. La legge 394 è quella che finalmente sancisce la forma giuridica, le competenze e gli strumenti degli enti preposti alla gestione dei parchi. Inoltre risale a quello stesso anno la definizione delle varie tipologie di parchi: i parchi nazionali, i parchi naturali regionali, la riserve naturali, le zone umide di interesse internazionale, le aree naturali protette, le zone di protezione speciale, le aree di reperimento terrestri e marine. Sempre in occasione della stesura di quella legge, vi fu il riconoscimento delle riserve locali e vennero meglio definite le responsabilità regionali. Infine il 1991 fu anche l’anno dell’inaugurazione di otto nuovi parchi nazionali.
I parchi tra tutela dell’ambiente, politica e società
Più di recente sono entrati a far pare dei territori da proteggere anche i parchi urbani. Fedenatur è un organismo nato nel 1997 a livello europeo, per la promozione degli spazi naturali peri-urbani e per lo scambio di esperienze di gestione dei territori naturali a stretto contatto con l’abitato. L‘Italia partecipa oggi con dieci parchi urbani. Con l’affacciarsi del nuovo millennio, la normativa promulgata in favore dei parchi, delle autonomie locali e della tutela del paesaggio si fa via via più attenta allo sviluppo sostenibile e agli impatti ambientali, oltre a diventare sempre più coordinata agli impegni europei. Stiamo parlando del Decreto Legislativo 152 del 2006.
Oggi i parchi e gli ambienti naturali sono al centro della contesa tra difesa dell’ambiente, società e politica. Lo racconta quanto accaduto al Parco dello Stelvio, che è stato smembrato sotto la giurisdizione di tre diverse province, con pareri (politici) favorevoli e contrari. Di certo sono necessarie iniziative che tengano conto delle esigenze della popolazione locale e dello sviluppo socio-economico, pur nel rispetto dell’ambiente. Così com’è indispensabile continuare a fare rete con l’Europa, che chiede entro il 2020 di recuperare almeno il 15% di aree verdi e ecosistemi. Tre sono le opportunità da cogliere: ottenere i fondi europei destinati a tale scopo; sostenere la collaborazione tra enti e gruppi di ricerca internazionali; seguire una strategia basata sulle conoscenze e sulle evidenze raccolte dalle azioni già attuate.
Secondo un’analisi realizzata da Lauren Coad della Oxford University e collaboratori, sebbene la superficie delle aree protette in Europa stia aumentando, la difesa della biodiversità non ha registrato miglioramenti. La ricerca dunque continua a sostenere l’istituzione delle aree protette, come metodo migliore per preservare gli ecosistemi che le colonizzano. La proposta però è quella di un approccio più scientifico, basato sulla raccolta di dati che misurino l’efficienza dei diversi approcci applicati alla difesa della biodiversità.
E mentre da un’analisi europea si suggerisce un maggiore coinvolgimento delle comunità locali e una più attenta sensibilizzazione della società, i primi tentativi in Italia si stanno compiendo. Per esempio, anche attraverso l’uso di internet, è possibile coinvolgere le persone comuni nel lavoro degli scienziati. Il portale “Prodromo della vegetazione italiana“, per citare un altro approccio, è proprio un invito a scoprire, riconoscere e partecipare alla natura del nostro Paese.
Leggi anche: Il lupo in Italia, una convivenza già possibile
Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.