CRONACA – In questi giorni Google ha iniziato a rimuovere alcuni suoi contenuti su richiesta degli utenti. Il colosso americano si adegua così – almeno per il momento – alla sentenza della Corte di Giustizia europea del 13 maggio scorso, che prevede che i motori di ricerca tutelino il diritto all’oblio.
In inglese è il right to be forgotten, che corrisponde in realtà al right to be forgiven, la possibilità di avere una nuova vita senza che informazioni del passato rovinino la reputazione del presente.
Da qualche settimana ciascuno di noi, qualora cercasse il suo nome su Google e lo vedesse associato a informazioni giudicate inopportune, può compilare un modulo per chiedere la rimozione di quelle pagine. La domanda sarà vagliata da un team di esperti che valuterà la bontà della richiesta e si esprimerà di conseguenza.
Secondo quanto riportato qualche settimana fa dal New York Times, le richieste avrebbero superato quota 50.000 già a metà giugno. In queste ore Google sta contattando i primi utenti per comunicare loro l’esito positivo e garantire che le informazioni che li riguardano saranno rimosse. Resta da chiarire se sarà possibile riconoscere una pagina “censurata”: per il momento l’azienda americana ha previsto una dicitura standard (“Alcuni risultati possono essere stati rimossi nell’ambito della normativa europea sulla protezione dei dati”). Cliccando su ulteriori informazioni, si viene reindirizzati a una pagina di Faq dove si spiega come Google sta applicando la sentenza.
Tuttavia la questione sta facendo discutere e gli aspetti paradossali non mancano. Il primo riguarda l’aspetto geografico della questione: Google dovrà garantire il rispetto della sentenza nella sola Europa. Questo significa che le informazioni de-indicizzate nel nostro continente, saranno disponibili per esempio nella versione .com del motore di ricerca.
Il secondo aspetto curioso è che l’azienda americana si trova a rivestire il doppio ruolo di controllato e controllore. Spetterà infatti al team di esperti riuniti da Google e coordinati dal suo ufficio legale stabilire la legittimità delle richieste degli utenti.
Al di là delle storture, la sentenza europea e la scelta di Google di adeguarsi hanno contribuito a innescare un dibattito latente da tempo sui diritti digitali e sull’equilibrio tra privacy e right to be forgotten. Chiamatelo poco.
Crediti immagine: Carlos Luna, Flickr