LA VOCE DEL MASTER – Chi non ricorda gli album dei fogli da disegno che usavamo da bambini? Rigorosamente carta Fabriano, con quella F azzurra, stilizzata e buffa che pensavamo fosse la firma di un grande pittore. La carta Fabriano, cittadina dell’entroterra marchigiano, quest’anno compie ben 750 anni e a guidarci nel ripercorrere la storia della carta nei suoi oltre sette secoli, l’evoluzione delle antiche tecniche di fabbricazione e dei materiali utilizzati è Franco Mariani, già docente di Storia del libro presso l’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche (ISIA) di Urbino e attualmente Presidente del Centro Internazionale di Studi e Ricerche sulla Storia e Tecnologia della Carta “A. G. Gasparinetti” di Fabriano.
«Qui a Fabriano la tradizione cartaria è antichissima, e possiamo affermare quasi con certezza che la carta sia nata qui. Vi è infatti un registro pergamenaceo di cancelleria datato 1264 e conservato nell’Archivio Storico Comunale di Matelica, a 20 km circa da Fabriano, dove è annotato l’acquisto di carta. Si tratta di un documento che, pur se sottili questioni storico-filologiche lasciano ancora una porta aperta al dubbio, permette ragionevolmente di ipotizzare che la carta acquistata provenisse da Fabriano», racconta Mariani. Quello che è certo comunque è che a Fabriano è cambiato il modo di fare la carta. Qui comincia la carta occidentale vera e propria. «Quella che si faceva prima e altrove era carta di tipo arabo – spiega Mariani – non adatta ai nostri climi, e di facile degrado nel tempo. Come la carta delle cartiere di Amalfi, di Genova, o ancora di quelle siciliane. A Fabriano è molto importante il cambiamento che la tecnica cartaria ha avuto. Non è cambiata la composizione, la materia prima era sempre stracci di lino e canapa, ed è rimasta la stessa dal Duecento in poi per molti secoli ancora. Ma è cambiato il processo».
La storia e la fama di Fabriano è nell’aver introdotto innovazioni, aver segnato una svolta, aver dettato uno standard che si è imposto nel tempo in tutta Italia e in Europa. In particolare, tre sono state le cosiddette innovazioni apportate dalla tecnica cartaria di Fabriano: la macchina, ossia la pila a magli multipli, la collatura e la filigrana. «Non sono certo arrivate tutte insieme, né sono opera di un’unica persona», commenta scherzando Mariani. «Di sicuro la sfibratura è stata la prima, e la più importante. Hanno iniziato a usare infatti per fare la carta una macchina che veniva utilizzata in realtà per feltrare la lana. Le cartiere fabrianesi quasi sempre convivevano con i lanifici, e l’idea è venuta forse per caso, chissà. Per riuscire a sfibrare gli stracci la macchina è stata modificata soltanto aggiungendo dei cappellotti di metallo con dei chiodi, inseriti nelle teste di legno che servivano per feltrare la lana. E questa innovazione ha indubbiamente accelerato i processi di lavorazione».
Quale delle tre innovazioni è la più significativa? «L’invenzione migliore a mio avviso è stata il passaggio dall’uso della colla d’amido, capace di generare zuccheri e degradarsi con i batteri, e che poteva andar bene in Arabia e in Andalusia dove è caldo secco ma non qui da noi, all’uso invece della gelatina animale. Qui producono una carta che risulta diversa – prosegue Mariani – sulla quale si scrive bene ed è più tenace: il collagene della colla animale crea una carta più resistente, che si piega bene. Già nel 1350 ci sono carte sottili di una bellezza unica».
E la filigrana? «La filigrana è molto probabilmente arrivata per ultima. È logico pensarlo, ragionando sul filo logico del buon senso. Non si deve dimenticare – precisa Mariani – che la vergatura è già la prima e vera filigrana della carta, dipende dal telaio e da altre questioni, per esempio dalla sfibratura degli stracci che non è molto raffinata nei primi tempi. L’impasto è migliorato poi negli anni. Le prime filigrane sono segni molto semplici, elementari, comuni, poi via via diventano più complesse e articolate. La loro importanza è dovuta al fatto che risolvono il problema di marcare i fogli in modo tale da poterne riconoscere e garantire la provenienza da una certa cartiera piuttosto che da un’altra. Non danno delle certezze assolute, ma quantomeno dei margini temporali. Falsari permettendo, forse dovremmo precisare».
Altre realtà che facevano carta in Italia hanno man mano acquisito il sistema fabrianese a partire da fine Trecento, non prima. Molti i cartai fabrianesi che nel tempo si sono trasferiti per impiantare cartiere altrove. Cartai ai quali veniva richiesto espressamente nel contratto di impegnarsi a produrre carta “ad usum fabrianesem”, ossia “all’uso di Fabriano”. «Il che sta a confermare che qui c’era uno standard di produzione, di qualità e di tecnica ben consolidato e riconosciuto. Sono stati i primi ad aver insegnato un nuovo modo di fare la carta e questo è rimasto. Una meravigliosa capacità artigianale o arti-geniale di fare le cose. Gli altri sono arrivati un passo dopo», puntualizza Mariani. «Qui nel Trecento vi erano almeno 30-40 cartiere, come non dire che Fabriano fosse la città della carta?».
Si è soliti pensare che il Medioevo sia stato un periodo del tutto buio per la scienza e la tecnologia. «Chiacchierando una volta con Umberto Eco all’ISIA di Urbino – racconta Mariani – mi disse Noi parliamo sempre del Rinascimento, ma la pentola era quella del Medioevo, il minestrone ha bollito là dentro. Nel Rinascimento hanno scoperto il coperchio e hanno servito a tavola, ma era già tutto nella pentola». Pensando alla nascita della tecnica cartaria fabrianese, come dargli torto?
Oggi, accanto alla produzione industriale della carta resta quella di qualità, e rimane soprattutto la memoria di una tradizione secolare grazie alle attività laboratoriali e scientifico-divulgative del Museo della Carta e della Filigrana di Fabriano che ripropongono la storia dei maestri cartai fabrianesi in una sorta di museo vivente.
Foto di apertura: I maestri cartai al lavoro al Museo della Carta e della Filigrana di Fabriano. Crediti: Anita Eusebi