SALUTE

Alzheimer, perché il prelievo di sangue non è ancora diagnosi

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SALUTE –  No, non è vero che a breve sarà possibile sottoporsi a un semplice test di analisi del sangue per sapere con certezza se si ha o meno l’Alzheimer. Il test c’è ed è da anni in fase di sperimentazione, ma oggi come oggi la soglia di sicurezza si aggira intorno al 90%, una percentuale ancora troppo bassa perché si possa considerare raggiunto l’obiettivo, e soprattutto perché questi risultati sperimentali diano il via a una prassi medica. Parole chiare e dirette quelle di Sandro Iannaccone, primario dell’Unità di Riabilitazione Specialistica, disturbi neurologici, cognitivi e motori presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, che ci racconta perché è opportuno andarci piano quando si parla di test diagnostici e Alzheimer.

“Il fatto che un test diagnostico siffatto non possa essere ancora realtà non significa che gli sforzi finora fatti non sono degni di nota, anzi – precisa Iannaccone – la direzione per gestire una malattia come quella dell’Alzheimer è certamente quella della prevenzione, solo che oggi come oggi i risultati ottenuti non sono sufficienti per affermare che l’obiettivo è stato raggiunto”. In generale insomma, secondo Iannaccone e secondo lo stesso team di ricercatori dell’Università di Oxford, autori dello studio in questione, la strada migliore oggi percorribile è certamente quella della prevenzione. Il problema dei test precedenti come risonanza magnetica, PET o esame del liquor – spiega Iannaccone – è la loro invasività, non trascurabile dato che gli individui che su cui vengono eseguiti questi esami diagnostici sono sani. Il test del sangue invece è semplicissimo e poco costoso e per questa ragione gruppi di ricercatori in tutto il mondo hanno cominciato a lavorare in quella direzione, pubblicando mese dopo mese risultati che li avvicinavano sempre di più alla possibilità di diagnosticare finalmente questa malattia nei suoi primi stadi in modo semplice e accurato.

Ma c’è un altro aspetto che vale la pena considerare, ci spiega Iannaccone, e cioè il fatto che l’Alzheimer non è che una delle tante forme di demenza che colpiscono uomini e donne verso le 70 primavere. In particolare le forme di demenza sono 50 e solo due di esse sono reversibili: la demenza da ipertiroidismo e la demenza da avitaminosi. Demenza significa che il nostro cervello ha subito una certa quantità di danno – illustra Iannaccone – dovuto a una sola oppure alla combinazione di più cause. Se il danno è causato da una specifica forma, come per esempio il morbo di Alzheimer, si parla esclusivamente di Alzheimer, se invece il danno è provocato da più fattori, la demenza si diversifica.

Le due parole chiave di questo tipo di test, semplicità e basso costo, sono concetti assai importanti se si considera inoltre la portata che la malattia di Alzheimer avrà nei prossimi decenni. Secondo le stime, nel 2050 i casi nel mondo saranno triplicati rispetto a oggi, questo a causa dell’aumento degli ultra 65enni, soprattutto in paesi dove finora l’aspettativa di vita media era decisamente più bassa rispetto all’Occidente. “Osserviamo per esempio un nascente interesse degli scienziati cinesi e indiani – spiega Iannaccone – conseguenza del fatto che anche in questi paesi i cittadini con più di 65 anni sono sempre di più e con essi cresce anche il tasso di persone colpite dal morbo. Non sussiste infatti una maggiore predisposizione genetica in una popolazione piuttosto che in un’altra, la percentuale di malati in tutto il mondo è sostanzialmente la stessa in Europa, in America o in Asia.”

“I risultati che negli ultimi anni sono apparsi nelle riviste scientifiche sono sostanzialmente simili perché lavorano nella direzione della diagnosi basata su un prelievo di sangue” prosegue Iannaccone. “La differenza in questo lavoro è che la soglia di sicurezza della diagnosi è arrivata al 90%, cioè in 90% dei casi il risultato ottenuto è corretto. Il punto però è un altro, cioè il fatto che questo 90% di accuratezza si è ottenuto solo attraverso l’esame sul prelievo di sangue, senza l’ausilio di altre metodologie.” Altri studi infatti sono riusciti negli anni a raggiungere soglie superiori al 90%, ma solo perché vedevano il supporto delle metodologie diagnostiche tradizionali come la risonanza magnetica, la PET o l’esame del liquor. “Il vero obiettivo è quindi superare la soglia del 95% di accuratezza utilizzando unicamente il test sanguigno. Solo in questo modo potremmo affermare di aver raggiunto, come medicina, il nostro obiettivo.”

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: _annamo, Flickr

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.