I diritti riguardanti la riproduzione abbracciano alcuni diritti umani, che sono già stati riconosciuti all’interno dei piani legislativi nazionali…
APPROFONDIMENTO – Così è stato stabilito nel 1994, durante la” Conferenza Internazionale sulla Popolazione e sullo Sviluppo” (ICPD) organizzata dalle Nazioni Unite. E la salute riproduttiva, secondo quanto emerso dalla medesima conferenza, implica anche che ciascun individuo debba godere della libertà di decidere se, quando e quanto spesso avere dei bambini.
Se vi venisse il sospetto che la conferenza non ha sortito l’effetto sperato in tutte le nazioni del mondo, la cosa trova una conferma nel fatto che di lì a pochi anni (1998) è sorto un centro per tenere sotto controllo le leggi riguardanti l’aborto a livello globale. Il Center for Reproductive Right è ancora attivo nel monitorare le evoluzioni della legge, dato che a livello mondiale ci sono ancora il 13% degli stati in cui è del tutto proibito abortire (in rosso), a cui si somma un 18% dei paesi mondiali (cioè 32 nazioni su 175) in cui l’interruzione di gravidanza è consentita solo in caso di rischio per la vita della donna. Circa il 25.5% della popolazione mondiale risiede in queste due tipologie di stato. I territori caratterizzati da tale legge sono collocati prevalentemente nel sud del mondo. Il Cile, Malta, El Salvador e il Nicaragua hanno le leggi in assoluto più restrittive.
L’altra parte del globo è invece prevalentemente occupata da nazioni che sono più liberali in materia di aborto: il 33% dei paesi così classificati (e colorati in blu nella mappa), ospita il 39% della popolazione mondiale. Queste nazioni permettono l’aborto senza l’obbligo di giustificare l’atto. A questi si affiancano paesi (il 5.7% in azzurro) in cui la donna può decidere di abortire, adducendo motivazioni anche di tipo socio-economiche oltre a quelle legate alla salute: l’aborto cioè si può ottenere per fattori come l’età, lo stato civile o lo stato economico.
Esiste poi un’altra categoria di stati, quelli che ammettono l’interruzione di gravidanza per preservare la salute della donna (il 26.9% in arancione). Per salute, secondo la WHO, si intende sia quella fisica che quella mentale, ma questa definizione non è stata interpretata allo stesso modo da tutti i paesi in questione. Per esempio, in molti paesi africani l’aborto è consentito solo in caso di stupro, incesto o malformazioni gravi del feto.
L’Italia è tra i liberali: dunque che restrizioni ci sono in questo caso?
Per quanto riguarda i paesi più liberali, l’unica restrizione possibile è quella legata all’età sia della madre che del bambino. La madre infatti, se minorenne, può dover chiedere il consenso dei genitori per procedere all’intervento, mentre per il nascituro il limite è dato dalla settimana di gestazione. Questi due paramentri sono alquanto variabili da nazione a nazione, e i dati non sono disponibili per tutti gli stati.
A livello mondiale la Guyana, la Turchia, la Croazia e il Portogallo sono i paesi che chiedono alla madre la decisione più immediata: entro l’ottava-decima settimana dall’inizio della gravidanza l’intervento deve essere effettuato.
Altri stati invece pongono il limite al momento in cui c’è possibilità di “viability” del feto, cioè quando il bambino potrebbe potenzialmente sopravvivere anche all’esterno del corpo materno grazie al raggiungimento di un certo grado di sviluppo. L’aborto per questi stati non può avvenire oltre la ventesima – ventissettesima settimana di gravidanza. Arrivano a tale scadenza USA e Olanda, mentre non pongono limiti temporali alla pratica dell’aborto il Canada, la Cina e il Vietnam.
Più della metà degli stati (25 dei 45 in cui la legislazione è consultabile) dichiarano la necessità dell’approvazione dei genitori, nel caso in cui la gestante non abbia raggiunto la maggiore età.
Gruardando il grafico a barre l’Italia rispetta la media degli stati più liberali: sono circa 12 le settimane entro cui praticare l’aborto (90 giorni dal concepimento per essere precisi), e c’è bisogno dell’approvazione dei genitori per le minorenni.
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