AMBIENTE – Esiste un equilibrio stabile per evitare il potenziale conflitto tra acqua, cibo ed energia? Da decenni economisti e scienziati tentano di risolvere la questione. Tuttavia la domanda stessa potrebbe essere sbagliata, perché forse non dobbiamo pensare in termini di equilibrio, ma di nesso. Il tema del “nexus” tra le tre risorse fondamentali è stato lanciato nel Novembre 2011 durante la “The Water Energy and Food security nexus – solutions for the green economy”, una conferenza fortemente voluta dal governo federale tedesco come contributo al dibattito in vista di Rio 2012. Da allora “nexus” è diventato la parola d’ordine di gran parte degli studi sullo sviluppo sostenibile. Tuttavia, in realtà, non tutti hanno capito la portata di questo nuovo paradigma.
Particolarmente attivo in questi studi è lo Steps Centre, un centro di ricerca sostenuto dall‘Economic and Social Research Council del Regno Unito. Pochi giorni fa, lo Steps Centre ha pubblicato un working paper, intitolato “A dynamic approach to security and sustainability in water-energy-food nexus”, in cui ha cercato di chiarire alcuni concetti. Innanzitutto cosa significa introdurre il “nexus” nelle politiche di sviluppo sostenibile, ovvero riconoscere il potenziale di conflittualità tra realtà locale e globale, considerando la complessità e il dinamismo del rapporto tra l’uomo e l’ambiente in cui vive. In altre parole, considerare il nexus fa crollare uno dei miti dello sviluppo sostenibile: il controllo sui processi e la definizione di obiettivi precisi.
Per capire bene cosa questo implichi Jeremy Allouche, uno degli autori del working paper, sul Guardian ha proposto un caso di studio particolarmente interessante. Il nord-est della Thailandia è sempre stato scarsamente produttivo dal punto di vista agricolo, pur essendo attraversato da numerosi affluenti del Mekong. Negli anni ’90 il governo thailandese, finanziato dalla Banca Mondiale, inaugurò il Progetto Khong Chi Mun che intendeva realizzare un sistema di canali e dighe per irrigare circa 5500 ettari di risaie. Teoricamente il sistema era perfetto: le dighe avrebbero permesso il controllo delle acque e la produzione di energia; al contempo le risaie avrebbero raddoppiato i raccolti, passando da uno all’anno a due.
In realtà fu costruita solo una diga, la Rasi Salam, ma questo fallimento non fu il più importante. L’intero progetto, infatti, si basava su una visione globale del problema, che si tramutò, a livello locale, in un netto peggioramento della già critica situazione delle popolazioni che lì vivevano. La diga, concentrando le acque, provocò scarsità di zone umide. Questo non solo si tramutò in un sostanziale impoverimento delle rese agricole, ma provocò un danno in termini di biodiversità, che a sua volta divenne anche un danno culturale e, per certi versi sanitario. La riduzione delle zone umide, infatti, toglieva ampi tratti ricchi di numerose varietà vegetali, su cui si basava la medicina tradizionale locale.
Il fallimento del progetto fu imputato a errori tecnici: la diga rimase in funzione solo per 6 anni, fino circa al 2000, tra accese proteste della popolazione locale che alla fine vinse: con la chiusura di quella diga, la prima, si infranse l’intera struttura del progetto. Chi porta avanti l’idea del nexus, tuttavia, non vede (solo) negli errori tecnici la causa del fallimento del Progetto Khong Chi Mun: il problema era stato preso in maniera sbagliata, con un approccio troppo globale (l’intero Nord Est della Thailandia), con obiettivi troppo rigidi (5500 ettari), ma soprattutto considerando le risorse (cibo, energia e acqua) come un bene slegato dal contesto e dall’ambiente locale. In altre parole il vero concetto di nexus mette in crisi la possibilità di un equilibrio stabile in cui le risorse rispondono solo a criteri di efficienza. Considerare la possibilità di conflitti tra dimensione globale e locale, considerare gli aspetti laterali dei problemi, ossia considerare la complessità di progetti così ambiziosi: questo significa il “nexus”. Tuttavia, una dubbio viene: ponendo l’accento sulla dinamicità, l’interrelazione e sull’estrema complessità del mondo in cui viviamo, non si rischia la paralisi in decisioni da cui dipendono migliaia di vite umane?
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